Fluttuante & ancorato (VII). Relazioni e infrastrutture
“Se vuoi veramente arrivare lì dove la scrittura vive, scrivi come se fossi morto”, affermava il poeta irlandese Brendan Kennelly. La rubrica di Christian Caliandro segue questa traccia.
“Siamo come il sognatore – che sogna – e poi vive dentro il suo sogno. Ma – chi è il sognatore?” (David Lynch in Twin Peaks – il ritorno, 2017, puntata 14).
Se il punto è la connessione, la rete (l’“infrastruttura di relazioni”) che è l’opera contemporanea, allora la scrittura deve seguire lo stesso metodo: deve farsi essa stessa rete di connessioni, infrastruttura di relazioni – “autobiografia di tutti”, e non solo tua, in grado a sua volta di individuare e intercettare una disposizione d’animo.
“Ho creato quel cielo? Sì, perché fosse stato / cosa diversa da un concetto della mia mente / non avrei detto ‘Cielo’ – Ecco perché io sono la / eternità dorata. Non siamo in due qui, / lettore e scrittore, ma uno, l’eternità dorata, / Uno-Che-È-Quella, Quello-Che-È-Tutto” (Jack Kerouac, La scrittura dell’eternità dorata [1960], Mondadori 1998, p. 25).
“Il creatore, in arte, è sensibile come tutti gli altri ai cambiamenti nel modo di vita, la sua arte è influenzata inevitabilmente dal modo in cui vive ogni generazione, dal modo in cui ogni generazione è educata, dal modo in cui la gente si muove da un posto all’altro. Tutto ciò determina la composizione di quella generazione” (Gertrude Stein, Picasso [1938], Adelphi 1973, p. 20).
“In senso stretto, il mio io non esiste, poiché tutto è / vuotezza. Sono vuoto, sono non-esistente. Tutto è beatitudine” (Jack Kerouac, La scrittura dell’eternità dorata, p. 29).
“Il creatore invece, il vero creatore, non fa niente, non è interessato all’attività di esistere, e poiché è inattivo, poiché non è interessato all’attività di esistere, è abbastanza sensibile per capire in che modo pensa la gente: in che modo pensava non lo riguarda, la sua sensibilità è interessata a capire come vive la gente mentre sta vivendo. È cambiato lo spirito di ciascuno, è cambiato lo spirito di un intero popolo, ma nessuno lo sa. (…) Il creatore non è in anticipo sulla propria generazione; è il primo fra i contemporanei a essere consapevole di quello che sta succedendo alla propria generazione” (Gertrude Stein, Picasso, pp. 62-63).
“Impossibile isolare meccanicamente le anime della ‘tradizione del nuovo’ in separate stanze: avanguardie, populismi, rétours à l’ordre convivono come maschere intercambiabili di un medesimo attore. Che sceglie, nel caso del neorealismo italiano, la via della descrizione. Descrizione, innanzitutto, di un incontro traumatico con uno specchio imprevisto – la convenzione chiamata ‘realtà’ – che restituisce a chi guarda immagini inquietanti; descrizione di emozioni provate nello scambiare l’orgoglio della modestia con l’immodestia di una volontà di potenza frustrata; descrizione di un viaggio ‘là dove tutti erano’ nella speranza di poter così comprendere il presente di tutti. Di tale contaminazione fra il soggetto, la collettività, la parte e il tutto vive la stagione neorealista” (Manfredo Tafuri, Storia dell’architettura italiana 1944-1985, Einaudi, Torino 1986, p. 15).
“Sogni ruggenti avvengono in una mente / perfettamente silenziosa. Ora che lo sappiamo, / gettiamo la zattera” (Jack Kerouac, La scrittura dell’eternità dorata, p. 47).
“Il creatore è tanto contemporaneo da dare l’impressione d’essere in anticipo sulla propria generazione; per rilassarsi, nella vita di ogni giorno, desidera vivere con le cose d’ogni giorno del tempo passato, non vuole vivere in modo così contemporaneo quanto i suoi contemporanei, i quali non sentono in modo particolarmente acuto di essere contemporanei. Suona complicato ma è molto semplice” (Gertrude Stein, Picasso, p. 64).
“Ne parlo semplicemente perché sto qui / a sognare di parlarne in un sogno già / concluso, ere fa, da cui già mi sono destato, ed / era soltanto un sognare vuoto, di fatto nulla / di nulla, di fatto niente del tutto era accaduto. / La bellezza di attingere all’eternità dorata è / che nulla si acquisisce, finalmente” (Jack Kerouac, La scrittura dell’eternità dorata, p. 77).
“Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di ieri; del nome d’oggi, di domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d’ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace e non ne parli più. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest’albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo” (Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, p. 153).
‒ Christian Caliandro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati