Futuro, politica e cittadini. L’editoriale di Stefano Monti
Stefano Monti riflette sulla necessità di vivacizzare il dibattuto pubblico su cultura e temi sociali. Scongiurando il rischio di restare vittime dell’era della post-verità.
Affermare cinicamente, come sostiene sottilmente il direttore Tonelli nel suo editoriale, che la politica e la gestione della cultura (perché è di quello che ci occupiamo) debba pagare il pedaggio all’era della post-verità è un atteggiamento che, per quanto coerente con i nostri tempi, condanna inevitabilmente alla mediocrità il nostro Paese. Nel suo editoriale, Tonelli, afferma che chiunque prenda il posto di Franceschini ha sostanzialmente due strade possibili: da un lato mantenere lo status quo (il che potrebbe incancrenire le già degradate condizioni del nostro sistema culturale) dall’altro affiancare a una politica di riforma (riconosciuta come necessaria) una altrettanto necessaria attività di comunicazione, in grado di condire con contenuti emotional le attività politiche.
Questa riflessione si basa su due affermazioni implicite, non necessariamente vere: la prima è che Franceschini abbia pagato perché, nonostante sia stato un riformista, non ha comunicato in modo efficace il proprio operato; la seconda è che gli elettori fondano il proprio giudizio su contenuti emotional, annullando le potenziali differenze che sussistono (o che dovrebbero sussistere) tra la scelta del candidato da votare come proprio rappresentante e la scelta di un pacco di merendine al supermercato.
Una prima sostanziale obiezione a queste assunzioni riguarda proprio l’operato di Franceschini: la visione politica condotta (fermo restando che a lui va il merito di avere avuto quantomeno una visione politica, cosa che alla cultura mancava da un po’), mostra notevoli contraddizioni interne (come ad esempio un atteggiamento generalmente accentratore e la volontà dichiarata di voler “aprire al mercato”), e notevoli lacune (l’Art Bonus avrebbe potuto essere migliorato considerevolmente, la sedicente rivoluzione dell’amministrazione è stata soltanto in parte realmente completata ecc.).
Possibile, dunque, che il giudizio negativo espresso nei suoi riguardi sia stato riferito a quanto realmente realizzato piuttosto che a una scelta “di pancia”.
La seconda affermazione, pur riflettendo sicuramente una condizione molto comune, rende completamente inutile il suffragio universale. Anzi: deleterio.
“La verità è che la politica dei talk-show ha reso completamente vano il dibattito pubblico: le tecniche di comunicazione, le statistiche pedisseque, la contrapposizione di iper-tecnicismo e più completa vaghezza, ha reso molto arduo il compito di scegliere quale posizione assumere”.
Se le persone scelgono i governi come scelgono la marca di carta igienica, o di detersivo, tanto vale smettere di adottare un atteggiamento masochista e garantire il voto a chi non intende attuare una scelta consapevole. Ma non è così: in primo luogo, c’è da sottolineare come (anche grazie alla crisi economica) i consumi di carta igienica e di detersivo sono divenuti sempre più consapevoli (selezione per rapporto qualità/prezzo, per impatto ambientale, ecc.); in secondo luogo, le persone sono molto più attente rispetto a quanto vorremmo credere.
Sono proprio quelle tecniche di comunicazione ad avere impoverito lo spirito critico: la comunicazione massmediatica “esercita su tutto ciò che tocca un’estrema violenza, appiattendolo e banalizzandolo” diceva Mario Perniola.
“Se le persone scelgono i governi come scelgono la marca di carta igienica, o di detersivo, tanto vale smettere di adottare un atteggiamento masochista e garantire il voto a chi non intende attuare una scelta consapevole”.
La verità è che la politica dei talk-show ha reso completamente vano il dibattito pubblico: le tecniche di comunicazione, le statistiche pedisseque, la contrapposizione di iper-tecnicismo e più completa vaghezza, ha reso molto arduo il compito di scegliere quale posizione assumere: che differenza esiste tra Movimento 5 Stelle e Lega sul comparto culturale? Nei programmi politici la differenza è notevole e (contrariamente a quanto potrebbe sembrare) a far la parte dei conservatori sono proprio i primi. Ma, programmi a parte, gran parte della popolazione protende verso un determinato schieramento piuttosto che un altro attraverso gli interventi nei dibattiti televisivi, dove la bagarre regna sovrana.
Il nostro ruolo, dunque, sta proprio nell’arricchire il dibattito pubblico, nel fornire spunti di riflessione, nell’accrescere, attraverso argomentazioni circostanziate ma non da esperti, l’insieme di argomenti che sono sul piatto.
Se non lavoriamo perché i cittadini inizino a pretendere di più dalle forze politiche in campo, se non ci impegniamo perché nella nostra vita quotidiana la dimensione ontologica prevalga sulla narrazione, allora tanto vale ambire a una oligocrazia.
‒ Stefano Monti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati