L’età del consenso (II). Gli artisti e la responsabilità
È sempre più diffusa, da parte degli artisti contemporanei, la tendenza a lamentarsi della scarsa visibilità e delle poche occasioni da cogliere. Ma la colpa è davvero di qualcun altro?
“Henry Mason emise un lungo e lento sospiro e
si appoggiò allo schienale della sedia. gli artisti erano
insopportabilmente noiosi. e miopi. se sfondavano credevano alla loro
grandezza anche se valevan poco. se non sfondavano credevano
nella loro grandezza anche se valevan poco.
se non sfondavano, la colpa era di qualcun altro”.
Charles Bukowski
1997, sono alla guida della mia Cinquecento blu decappottabile (la mia prima auto, regalo della maturità) sulla tangenziale di Bari imboccata all’altezza di Santa Fara – nello stereo la cassetta dei Verve, Urban Hymns – e sono in un primissimo momento di transizione, dal liceo appena terminato all’università, in attesa di trasferirmi a Pisa per entrare nella Scuola Normale, è settembre forse più probabilmente già ottobre, pantaloni di velluto a coste beige e felpa grigia della Carhartt, non so (esattamente) che fare, non so come andrà la nuova vita all’università, guido sulla Statale 100 con il cielo nuvoloso (il sole è già tramontato), a Gioia del Colle ho una mezza fidanzata che amo molto ma con cui so, per qualche motivo, di non avere un grande futuro. Il futuro. A Santiago del Cile, di qui a un anno, in una data del POPMART tour Bono urlerà nel microfono “Viva el futuro! Futuroooo!”. Tra vent’anni da adesso, sarà molto diverso – sarà tutto diverso.
Il futuro sarà diverso.
***
Voi, artisti: sì, voi. State sempre lì a lamentarvi perché non vi considerano, perché non vi includono nelle mostre importanti, nei progetti “che contano”. Molto comodo dare la colpa agli altri (: una specialità tutta italiana, peraltro). Ma voi, esattamente, che cosa avete fatto o che cosa fate per cambiare concretamente la vostra posizione e la vostra vita?
Saranno quindici-vent’anni che ascolto le vostre recriminazioni (in gran parte legittime, per carità: non dico di no). Però, quando poi si passa ai comportamenti pratici, concreti, quotidiani, in quella che è la mia esperienza ho visto che la maggior parte di voi dimostra – ve lo devo dire – gravi carenze, carenze proprio strutturali ‒ nell’approccio, nella disposizione, nei rapporti.
State sempre a parlare per esempio – con un misto di timore reverenziale, invidia e rancore – di Arte Povera e Transavanguardia. Ma avete un’idea, anche vaga, di quanta capacità di coordinamento ci è voluta per realizzare quei due progetti, passo dopo passo, anno dopo anno? Di quanta pazienza, di quanta costanza, di quanta tenacia, di quante lotte all’ultimo sangue, di quante esclusioni anche dolorose?
A voi invece pare che tutto sia dovuto; preferite evidentemente muovervi in ordine sparso (vi sentite più liberi così, vero? ma rispetto a cosa?); campare alla giornata. Con la stragrande maggioranza di voi, di fatto non c’è neanche bisogno di aspettare che un progetto o un processo venga attaccato, smantellato, demolito dall’esterno; basta sedersi, e guardarvi sabotarlo dall’interno. Con la vostra grande lungimiranza, e abilità strategica. Con uno stranissimo misto di irresponsabilità, cinismo, immaturità, superficialità. E molto egoismo – tanto ioioio da affogarvici dentro.
Ma che cosa vi hanno fatto? Come è possibile essere così (e da artisti, poi)? Eppure, dovrebbe essere in fondo abbastanza facile, quasi immediato capire che SOLI non si ha alcun futuro (e nemmeno alcun presente, per la verità); che COSTRUIRE è un’operazione collettiva, comunitaria (o, semplicemente, non è); e che il cinismo non è figo né divertente, ma serve solo a chi vi sfrutta e poi vi butta via.
Poi, mi raccomando, tornate a lamentarvi e a piagnucolare.
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Jacovitti, come mi piaceva da bambino – Cocco Bill e gli altri personaggi che disegnavo in continuazione, ricopiandoli dalle tavole, era bello disegnare quei nasi sproporzionati, un mondo familiare, al tempo stesso esotico e molto meridionale – così come uno degli oggetti a cui sono più affezionato in assoluto, un braccialetto magico (e perduto) – il braccialetto di pelle bianco e azzurro con i ritratti in bianco e nero di Maradona incastonati dentro finti diamanti di plastica trasparenti, e il tricolore dello scudetto tutto attorno, comprato a otto anni da una bancarella di Pompei di fronte all’ingresso…
‒ Christian Caliandro
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