Le biblioteche del futuro. L’editoriale di Fabio Severino
In un’epoca sempre più dominata da Internet e dal digitale, quali strategie bisogna adottare per mantenere vive le biblioteche?
I sistemi di offerta pubblica da anni tentennano: non hanno più soldi da metterci. Questo ha avuto come principale effetto positivo il ripensamento (o la sparizione) di privilegi e servizi autoreferenziati. Tra i settori che richiedono un ripensamento ci sono le biblioteche. Purtroppo tanto dibattito si è concentrato sulla possibilità di essere a pagamento. Grandi scontri ideologici. Ma la domanda, a mio giudizio, è mal posta. La biblioteca è un luogo di conservazione del sapere, deve puntare sempre alla sua divulgazione. Non può essere a pagamento dell’utenza in nessun modo, deve essere un onere di tutta la collettività.
Le biblioteche sono come un monumento: sono un simbolo che tutti abbiamo l’obbligo di rispettare, che ci andiamo o meno, che le utilizziamo o meno. Per il semplice motivo che la sola esistenza è già essa stessa un servizio. Giovani e anziani, grandi e piccoli sanno che possono andare in biblioteca e leggere, conoscere, capire, imparare, approfondire. Più di ogni altra offerta culturale, questa è pubblica per eccellenza. Come il diritto allo studio e il diritto alla salute. Almeno per le nostre radici culturali. Però, proprio perché alla base della meritorietà delle biblioteche c’è il loro essere un punto di riferimento del sapere, bisogna anche fare i conti con modelli di accesso in continua evoluzione. Oggi ci sono Internet e il digitale. Le biblioteche, come tutta l’editoria del resto, ancora non hanno fatto veramente i conti con questa trasformazione. Vuoi che l’essere di massa del digitale sia tutto sommato recente, meno di vent’anni; vuoi che sia un cambiamento così radicale e profondo che in effetti non è ancora facile vederne i confini; ma la realtà è che Internet ha cambiato le vite di tutti i noi, di tutti i giorni.
“Le biblioteche sono come un monumento: sono un simbolo che tutti abbiamo l’obbligo di rispettare, che ci andiamo o meno, che le utilizziamo o meno”.
Molti dei servizi esistenti, e che sono sopravvissuti, stentano comunque a cambiare pelle. Molti sono scomparsi, obsoleti per contenuti e per forma. Non vale per altri, come appunto le biblioteche. Però, come è evidente che le biblioteche non sono più una porta di accesso al sapere, non riescono a diventare invece una scala del sapere, un mezzo per andare in profondità. In che modo la biblioteca può essere un “ascensore”? Alcune lo sono naturalmente, come quelle di conservazione. Altre, quelle di consultazione come le civiche, non riescono a trovare pienamente un’identità. Almeno quelle italiane, almeno a livello di base. Certo, ci sono tante esperienze eccellenti sparse per l’Italia, che raccolgono seguito e gradimento abituale. Ma per lo più sono il frutto dell’animosità e dell’ingegnosità del personale che vi lavora. Ancora è mancato chi le abbia teorizzate, ancora non si ha una scuola-guida per tutto il mondo delle biblioteche. Un mondo fatto di tanta energia e bellezza, ma stanco e fermo su qualcosa che alla collettività non serve più.
‒ Fabio Severino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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