La gestione del tempo come strategia permanente
Il fattore tempo è uno degli aspetti più radicati nell’epoca presente, complice anche l’accelerazione tecnologica. Ma quali conseguenze si verificano sul fronte della programmazione culturale?
Una delle componenti chiave dei processi di cambiamento è la capacità dell’organizzazione culturale di valutare e gestire il fattore tempo. Fino ad alcuni anni fa il tempo era una questione che riguardava i bilanci di previsione e i budget, nella migliore delle ipotesi. Roba da contabili, o da referenti dell’area amministrazione & finanza, insomma.
Oggi non solo l’asse del futuro di questi strumenti di pianificazione si è sensibilmente ridotta (siamo passati a programmare da cinque anni a tre e poi a due e attualmente anche “a vista”, complice il calo strutturale di finanziamenti pubblici e affini), ma sono entrati in campo vari concetti di tempo, che a loro volta rappresentano nuove variabili con cui l’impresa culturale deve confrontarsi.
La prima variabile è data, come dicevamo, da una contrazione del tempo a disposizione, che va considerata anche alla luce della presenza delle nuove applicazioni dell’Internet delle Cose (IoT) e della realtà aumentata, che possono o non possono rendere l’organizzazione più o meno competitiva sul mercato. Vi sono poi cinque città italiane – inclusa Matera, futura Capitale europea della cultura 2019 – che andranno a sperimentare la rete 5G: fantascienza? A vedere la mole degli investimenti che i vincitori del bando, insieme alla parte pubblica, metteranno a disposizione fino al 2021, pare realtà, con l’obiettivo di azzerare il digital divide e diffondere un “etere informatico” a servizio dei territori.
“Detto in altri termini, si tratta oggi di cogliere l’opportunità offerta ieri dai social network: chi è arrivato prima, disdegnando improvvidi snobismi o paure, è riuscito a costruire una community che ha messo a valore in una logica sistemica (promozione, comunicazione, fundraising, identità, senso di appartenenza)”.
Ancora il mondo delle istituzioni culturali non ha colto appieno le potenzialità di questo cambio di paradigma e, in larga parte, si sta limitando a rimanere in attesa per verificarne gli esiti e dare un giudizio ex post. Eppure, diventare agenti di sperimentazione e correre il rischio di applicare nuovi modelli operativi rappresenta non solo una felice intuizione, ma uno strumento per entrare tempestivamente su un mercato che guarda al futuro. Detto in altri termini, si tratta oggi di cogliere l’opportunità offerta ieri dai social network: chi è arrivato prima, disdegnando improvvidi snobismi o paure, è riuscito a costruire una community che ha messo a valore in una logica sistemica (promozione, comunicazione, fundraising, identità, senso di appartenenza).
La prospettiva dello short-term va poi considerata anche sotto il profilo di una diminuzione di tempo per orientare e coinvolgere gli staff al cambiamento: minori sono i tempi per trovare soluzioni, maggiore rischia di essere l’alea di emergenzialità permanente.
Perché alla fine, e nonostante questo “elogio” (per consapevolizzare) della brevitas, la programmazione resta uno snodo centrale non solo sul piano organizzativo, quanto su quello culturale (come forma mentis) e strategico (come strumento di governance). Lo sguardo, nel tempo del nostro battito di ciglia, è decisione.
‒ Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #42
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