La coscienza del nuovo. L’editoriale di Antonio Natali
Le mostre con protagonisti i grandi nomi dell’arte sono sempre una certezza, ma è necessario elaborare nuove strategie per veicolare anche altri contenuti, di pari interesse.
Non è mio costume spendermi in promesse. Non l’ho fatto nemmeno quand’ero direttore degli Uffizi, anche se ogni tanto n’avrei avuta convenienza. Ho sempre preferito fondarmi su quanto avessi già compiuto, perché fosse chiaro a tutti che le aspirazioni e gl’ideali esibiti non erano astrazioni intellettuali o etiche. In linea con la medesima convinzione ho finora evitato di ragionare su quest’inserto (che pure alle mostre è dedicato) degl’intendimenti sottesi all’esposizione di Palazzo Strozzi sull’arte a Firenze nel Cinquecento, che ho curata insieme a Carlo Falciani. N’ho attesa la chiusura non solo per non incorrere (avendo io a disposizione questo spazio) in uno dei tanti odierni conflitti d’interessi, ma anche per evitare di far la figura di quegli storici dell’arte che, presentando in anteprima le loro mostre, s’autoproclamano modelli di contegni moralmente rigorosi, alieni dal consumismo di un’industria culturale sempre più gretta. Ora però che la mostra è finita, portando a perfezione una trilogia pianificata agl’inizi del 2008 (Bronzino nel 2010, Pontormo e Rosso nel 2014, Il Cinquecento a Firenze nel 2017), credo ci si possano concedere alcune riflessioni.
“Reputo pernicioso il ricorso ai soliti nomi eccelsi della cultura figurativa: il loro abuso sempre più avvalora il culto del feticcio, deprimendo la conoscenza d’una poesia alta ma velata da questa nostra stagione, tutta votata al profitto immediato”.
Prima di tutto sarà da chiedersi allora quanti siano in Italia, specie di questi tempi, i luoghi in cui si progetti e pienamente si attui un programma decennale d’esposizioni incentrate su un unico tema, offrendo alla fine in una custodia i volumi (d’identica grafica) che ne sono stati di corredo scientifico. Quesito cui fa séguito, quasi per conseguenza, una considerazione – che su queste pagine m’è già occorso di svolgere – sulla tipologia di mostre che in Italia vengono allestite e soprattutto sull’ideologia che le sottende. Ammesso che d’ideologia si possa parlare quando i soggetti assunti a fulcro siano, per ragioni economiche, quasi sempre gli stessi. Soggetti e artisti che, essendo entrati nella mitologia popolare, garantiscono agli organizzatori un ritorno di danaro. Non mi piacciono però quei libelli che pressoché indiscriminatamente attaccano l’esposizioni temporanee, sovente sottacendo quelle cui va il merito di prefiggersi intenti educativi e di proporre, a dispetto dell’imperante conformismo, artefici grandi e tuttavia negletti. Non si tratta dunque d’essere intellettualmente talebani o accademicamente spocchiosi. Si tratta, piuttosto, di lavorare su temi inediti o poco noti con l’umiltà e la generosità di chi è cosciente sia necessario convertire il popolo delle mostre a una disposizione mentale che sia curiosa del nuovo. E già qualche insofferenza si principia a registrare nei confronti di quanto, pur nobile, sia già stato visto e rivisto.
“Non si tratta dunque d’essere intellettualmente talebani o accademicamente spocchiosi. Si tratta, piuttosto, di lavorare su temi inediti o poco noti con l’umiltà e la generosità di chi è cosciente sia necessario convertire il popolo delle mostre a una disposizione mentale che sia curiosa del nuovo”.
Si tratta di promuovere la divulgazione (do per scontato s’intenda che mi riferisco a quella scientificamente fondata) come la forma più democratica d’educazione. Reputo pernicioso il ricorso ai soliti nomi eccelsi della cultura figurativa: il loro abuso sempre più avvalora il culto del feticcio, deprimendo la conoscenza d’una poesia alta ma velata da questa nostra stagione, tutta votata al profitto immediato. Non è molto che su un quotidiano fra i più venduti è uscita una classifica di mostre basata sul numero dei visitatori; questo era l’ordine: primo Caravaggio, poi Monet, quindi Picasso e van Gogh; quinta, l’esposizione sul Cinquecento a Firenze. Mostra dove questi erano gli artisti esibiti: Allori, Santi di Tito, Zucchi, Poppi, Naldini, Stradàno, Macchietti, Cavalori, Pietro Candido, Sciorina, Butteri, e giù per la scesa. La mostra fiorentina è stata giudicata la migliore del 2017 in Italia, essendo al contempo premiata da una presenza assai ragguardevole di pubblico. Si può educare al nuovo senza rischiare tracolli. Anzi, guadagnandoci.
‒ Antonio Natali
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #9
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