Nicola Carrino. Il ricordo di Renato Barilli
Il critico bolognese evoca la vicenda artistica e personale di Nicola Carrino, lo scultore scomparso pochi giorni fa all’età di 86 anni.
In quest’anno davvero “horribilis” se n’è andato anche Nicola Carrino, e a noi superstiti, sempre più tristi e solitari, e in attesa che anche per noi suoni la campana, non resta che ricordarlo come si merita, per lo meno dal 1962 in cui assieme a colleghi romani fonda il Gruppo 1, ponendo fine a precedenti non certo importanti frequentazioni del contesto allora dominante dell’Informale. In quel momento avviene in Italia una svolta, riparte l’industrialismo, e con esso la fiducia nelle macchine, e dunque è lecito, anzi obbligatorio per gli artisti adottare schemi meccanomorfi. E per fare questo ci vogliono i materiali convenienti, quali le lamiere metalliche, o le colate di cemento, sorrette da travature tubolari, come fa il compagno di via Giuseppe Uncini. Accanto a loro c’è pure il più radicale fra tutti, Giuseppe Lo Savio, ma destinato a scomparire per primo, come fuso alla temperatura di quell’altoforno ideale che tutti concordi vollero allora istituire. E che ha avuto gli opportuni corrispettivi nell’altra capitale italiana, a Milano, con i Castelli e Bonalumi e Scheggi, che però furono più esitanti ad affidarsi allo spazio.
Tutti assieme, questi nostri artisti hanno dato luogo a uno splendido episodio di anticipazione del Minimalismo statunitense, che sarebbe entrato in scena solo un quinquennio dopo. Dovremmo ricordarcelo, invece che patire di un continuo senso di inferiorità verso quanto ci giunge da oltre Atlantico. Carrino era perfetto proprio nell’anticipare tuti gli aspetti correlati al Minimalismo, ben intendendo che quei corpi enormi allora concepiti erano fatti per occupare lo spazio, uscendo fuori dagli argini protettivi delle gallerie d’arte. Occorreva invadere le piazze, le vie. Visto che oggi si parla tanto di Arte pubblica, bisogna pur ammettere che è spettato a Nicola fornirne un abbondante, dilagante anticipo, sicuro nel procedere a livello progettuale, quasi in un anticipo dell’“arte concettuale”, con invito a vivere nella nostra mente, e dunque anche con priorità rispetto alle operazioni di Sol LeWitt che poi verranno, ma senza trascurare il momento della realizzazione concreta, materica, con tutti i problemi che questa fase comporta.
SPAZIO ANCHE AL DISORDINE
Devo ammettere che io personalmente, sempre alquanto avverso a un concretismo neoplastico troppo fedele all’angolo retto e derivati, forse ebbi qualche perplessità, di fronte a quei cubi giganteschi del Nostro, che era pronto a manovrare da gigante, da titano, come per una enorme partita di domino, o per la erezione di uno ziggurat degno di antiche civiltà e religioni. Ma apprezzai molto quando lo vidi incline a concedere una qualche parte anche al disordine, attraverso due soluzioni. Intanto, quella di dismettere talvolta il culto dei metalli ritornando ai massi di buona terra, di arenaria, e accumulandoli ma con qualche infrazione al geometrismo, cioè inclinandoli, imponendo loro qualche asimmetria. È la ragione per cui ritenni necessario, d’accordo con l’amico Fabio Cavallucci, invitarlo a erigere uno di questi cumuli eccentrici nel bel mezzo del parco di sculture all’aperto da noi condotto lungo le rive del fiume Bidente, in provincia di Forlì, dalla cittadina di Santa Sofia verso la foresta di Campigna, il cui soffio poderoso non consente di darsi a esibizioni troppo ordinate. Infatti accanto allo ziggurat di Carrino si innalza un monolite di Giuseppe Mainolfi, avvolto in una sorta di pelle artificiale, mentre a poca distanza Eliseo Mattiacci innalza verso il cielo una di quelle sue rotaie lanciate verso il nulla.
IL RISVEGLIO DELL’ACCADEMIA DI SAN LUCA
Tante altre sono state le imprese del nostro Nicola, che certamente verranno elencate in scritti partecipativi più puntuali e completi di questo mio, ma voglio menzionare una sua impresa non minore per importanza di quanto da lui realizzato direttamente come artista. Secondo le regole della più antica delle nostre Accademie, quella di San Luca, nel 2009 venne il suo turno di esserne presidente. Ebbene, io che l’ho visto su quel soglio posso testimoniare che si deve a lui il risveglio di quel luogo certo augusto ma da tempo addormentato, è stato lui a ridargli vita, operatività, smalto. In fondo, è lo stesso slancio che lo portava a investire gli spazi pubblici, ad animarli dalle radici, a spingerli a uscir fuori dalle dimensioni ridotte dell’intimo e del privato.
‒ Renato Barilli
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