Città, corpi vivi. L’editoriale di Tommaso Sacchi
Il curatore dell’Estate Fiorentina approfondisce le dinamiche responsabili della “vivacità” urbana. Portando due esempi illustri.
Le città sono corpi vivi. Sempre più, le città contemporanee sono parti di territorio delle quali è difficile definire i confini. Dei nostri centri urbani è sempre meno facile disegnare i limiti oggettivi e distinguere l’intra mœnia dalle porzioni esterne.
A questo dibattito su che cosa sia città e che cosa ne resti fuori hanno sicuramente contribuito quei sindaci e amministratori che, negli ultimi dieci anni, in maniera convinta, hanno lavorato per dare una maggiore dignità alle periferie urbane. Possiamo dire che, oggi, l’attenzione – e quindi la riqualifica – delle vie, delle piazze, dei centri di aggregazione, dei piani terra, dei garage nelle nostre periferie costituisce elemento irrinunciabile per ogni valido programma di mandato di un sindaco.
Ma da dove passa questo impulso rigenerativo? Sicuramente dall’aumento del livello dei servizi, dagli incentivi e dallo sgravio della pressione fiscale sull’attivazione di centri culturali decentrati, dal miglioramento della rete dei trasporti, ma anche – e forse soprattutto – dalla scelta di delocalizzare la produzione culturale verso le arterie meno centrali delle nostre città.
Le città sono, citando Renzo Piano, “stupende emozioni dell’uomo”. Se pensiamo al significato di “stupenda emozione” ritroviamo la competenza nella progettazione urbana, la passione e il pensiero visionario del noto architetto. Ma all’ambito semantico dell’emozione si riconduce anche l’importanza generativa/rigenerativa delle idee, delle pratiche, dei progetti artistici e quindi, in estrema sintesi, l’attitudine di una città ad accostarsi alla produzione culturale “molecolare”.
ENERGIE INTELLETTUALI
Sono emotivamente stupende, quindi, soprattutto quelle città che riconoscono nelle energie intellettuali diffuse una forte capacità di attivazione e riqualifica di quartieri urbani. Energie che germogliano attraverso la progettazione di formati culturali in grado di accendere e ridare vita – e quindi dignità – anche alle zone meno centrali delle nostre città.
C’è però un aspetto davvero importante che riguarda da vicino la nostra contemporaneità, ed è l’abbandono delle rigide categorie tematiche della cultura. Nell’attivazione di nuovi centri culturali e di dispositivi che siano protagonisti della vita culturale urbana presente e futura è di fondamentale importanza considerare la multimedialità come un valore e non come una colpevole scarsa attitudine alla catalogazione.
Viviamo, in questi anni, l’abbandono di una settorialità da manuale, la fine di una divisione per capitoli dal sapore un po’ invecchiato che lasciano spazio a un nuovo modo di intendere la progettazione culturale contemporanea. Le nostre città sono quindi da intendersi come “agglomerati polimerici” di intelligenze diffuse che necessitano di una messa a sistema delle energie esistenti e corpuscolari. Questo deve avvenire attraverso l’individuazione di particolari temi espressivi intorno ai quali costruire gli eventi e definire le cornici spazio-temporali entro cui vengono attivati.
MILANO E FIRENZE
Se prendiamo ad esempio due città che vivono in larga parte della loro vivacissima produzione culturale, Milano e Firenze, ci rendiamo conto di come negli ultimi dieci anni si sia puntato proprio su questo doppio binario complementare e parallelo della vita istituzionale, da un lato, e di quella informale e diffusa dall’altro. Attraverso questo processo nuovo e virtuoso, progetti come il Salone/Fuorisalone del Mobile, PianoCity o la ArchWeek a Milano, e l’Estate Fiorentina, il Jazz Festival e le grandi esposizioni di arte contemporanea in contesti storici a Firenze diventano cardini della identità e della capacità narrativa all’interno dei circuiti della cultura internazionale.
Occorre però concentrarsi sul “come” questo processo delicato (e quanto mai necessario) sia stato possibile nei due capoluoghi, pur così diversi tra loro. Entrambe le città hanno un punto di partenza comune, ciò che potremmo anche definire una grande ricchezza di fondo: un attivissimo patrimonio produttivo che risiede nella vasta moltitudine di associazioni, imprese, studi professionali, singoli artisti o compagnie teatrali che vivono e attivano il tessuto urbano.
Ma l’elemento innovativo (e spesso riconducibile a un chiaro impulso politico-amministrativo) è che queste agenzie sono state chiamate nei casi sopraccitati a essere protagoniste di eventi all’interno di una cornice spazio-temporale data. A prescindere dal rapporto tra appuntamenti inseriti da subito nei programmi culturali ed eventi diffusi accolti in un secondo momento, l’aspetto inedito e rigenerativo (e responsabile quindi del coinvolgimento di porzioni di territorio differenti, periferie incluse) è la scelta di autorizzare le energie metropolitane alla co-costruzione di un palinsesto e quindi a diventare parte integrante del processo, gestendo spesso in autonomia e liberamente la scelta di tempi, modalità e spazi dell’agire.
La città è, sì, un corpo quindi, ma un corpo vivo e metamorfico, capace di “trasformare il potere in strutture, l’energia in cultura, elementi morti in simboli viventi di arte, e la riproduzione biologica in creatività sociale” (Lewis Mumford).
‒ Tommaso Sacchi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43
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