Cultura immateriale e penalizzazioni. Il caso Italia
Che cos’è il patrimonio culturale immateriale secondo l’UNESCO e perché l’Italia viene penalizzata da questa definizione?
Come ratificato dalla Conferenza di Parigi, per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Con questa definizione, l’UNESCO ha, con un colpo solo, annullato la differenza tra un Paese dotato di patrimonio culturale e un Paese che invece ne è privo.
Non si tratta di misconoscere la validità dell’immateriale o dell’intangibile. Si tratta di un concetto molto più pragmatico. Di inflazione. E, soprattutto, di differenziazione tra Paesi.
Per quanto la dimensione del patrimonio culturale immateriale possa essere molto suggestiva, infatti, e senza ricorrere alla banalità dell’Italia primo Paese al mondo per Siti UNESCO, è indubbio che, quanto più ristretta è una lista, tanto più esclusivi saranno i partecipanti.
E allora ragioniamo, cosa vale di più, il Colosseo o l’arte dei Pupi? L’Al Azi o il Minareto di Jam?
Può l’arte di coltivare la vite ad alberello di Pantelleria competere (pur se con tutte le virgolette del caso) con il Pantanal Conservation Complex?
E come si può, veramente, discernere fra le tradizioni che sono parte del Patrimonio UNESCO e quelle che non lo sono?
Perché la “Serenata” non è un Patrimonio UNESCO, ma la Dieta Mediterranea, il Canto a Tenore Sardo sì?
Perché il bene possa essere giudicato patrimonio immateriale, devono essere rispettate le seguenti condizioni:
- “Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale.
- Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.
- Ai fini della presente Convenzione, si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché di sviluppo sostenibile.
Il “patrimonio culturale immateriale” come definito nel paragrafo 1 di cui sopra, si manifesta tra l’altro nei seguenti settori:
- tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale;
- le arti dello spettacolo;
- le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi;
- le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo;
- l’artigianato tradizionale.
- Inoltre, per essere inserito nella lista UNESCO, un elemento deve rispondere a questi ulteriori requisiti:
- l’elemento candidato si costituisce come patrimonio culturale immateriale, come indicato nell’art. 2 della Convenzione;
- l’iscrizione dell’elemento contribuirà a garantire visibilità e consapevolezza del significato di patrimonio culturale immateriale e a favorire il confronto, riflettendo perciò la diversità culturale e la creatività dell’umanità;
- le misure di salvaguardia sono elaborate in modo da poter tutelare e promuovere l’elemento;
- l’elemento è stato candidato sulla base del più ampio riscontro di partecipazione da parte di comunità, gruppi o, eventualmente, persone singole coinvolte con il loro libero, preventivo e informato consenso;
- l’elemento deve essere inserito in un inventario del patrimonio culturale immateriale presente nel territorio dello Stato proponente, come indicato negli articoli 11 e 12 della Convenzione.
Va da sé, dunque, che, stando così le cose, tutte le tradizioni, gli usi e i costumi (come si diceva un tempo), i saperi artigianali, potrebbero divenire patrimonio immateriale.
Vale la pena, dunque, vedere quali siano le “classifiche” per il patrimonio culturale mondiale. Le nazioni, con patrimonio culturale congiunto più numeroso sono, in ordine, Cina, Spagna, Italia, Francia, India, Germania, Messico, Giappone, Iran e Turchia.
Prima fra tutte la Cina, con un totale di 91 riconoscimenti di patrimonio immateriale, molto più numerose delle 62 spagnole e 61 italiane [nostra elaborazione su dati UNESCO. Sono stati anche inclusi i “riconoscimenti” multinazionali, N.d.R.].
In questi tempi cercare di difendere ciò che è italiano è, purtroppo, assimilabile a goffi tentativi di nazionalismo semplicistico. Ma non si può non notare come l’Italia esca penalizzata, decisamente, da questo “riconoscimento” che rischia di declassarla in una delle pochissime (l’unica?) classifica mondiale in cui detiene un primato.
‒ Stefano Monti
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