Quando l’arte è viva. Parola a Piero Gilardi e Walter Caporale
Dopo la panoramica sugli artisti che hanno fatto del legame uomo-natura il loro terreno di indagine, la parola va a Piero Gilardi, ideatore del PAV di Torino, e a Walter Caporale, presidente di Animalisti Italiani Onlus.
Piero Gilardi (Torino, 1942) è senza dubbio l’artista e attivista italiano che più si è dedicato al rapporto fra arte e natura, articolando, attorno a questo legame inscindibile, una riflessione profonda e tracciando un segno indelebile nel panorama contemporaneo. A lui è stata dedicata la grande retrospettiva Nature Forever, ospitata al MAXXI di Roma nel 2017.
La tua opera è da sempre articolata intorno al legame arte-natura (e uomo-natura). Come intendi questo binomio e come lo interpreti, da un punto di vista estetico e cognitivo?
Arte e natura, dal punto di vista del pensiero filosofico, è un rapporto condizionato dalla tradizionale opposizione Natura/Cultura. Tuttavia la natura, in tutti i suoi aspetti, è sempre stata l’ispirazione primaria dell’arte, a partire dalle pitture rupestri del Paleolitico.
Claudio Clavero, in apertura del volume Piero Gilardi. L’uomo e l’artista nel mondo (Prinp, Torino 2013) definisce i tuoi lavori “luoghi dell’esperienza”, intesi come spazi non circoscritti, ma territori sfumati, “spugne esperienziali”. Ti ritrovi in questa definizione?
Mi ritrovo nell’analisi di Claudio Cravero, perché fin dall’inizio i miei lavori artistici hanno offerto un coinvolgimento esperienziale, anche fisico, non solo mentale, del pubblico fruitore. Il coinvolgimento attivo nell’opera d’arte è una modalità creativa nata ormai da più di cinquant’anni per effetto di un mutamento della natura stessa dell’arte, che da “condensato ideologico” cristallizzato nell’icona estetica è diventata interazione simbolica relazionale, cioè comunicazione reciproca tra artista e fruitore.
Negli ultimi anni sono state molte le esperienze artistiche che hanno messo al centro della ricerca creature viventi come piante o animali, talvolta con l’obiettivo di un diretto impatto sul pubblico, talvolta cercando di mettere a fuoco il rapporto – contrastato e spesso in contraddizione – fra l’uomo e le altre forme di vita. Cosa ne pensi?
A partire dagli Anni Zero è nata la cosiddetta “arte del vivente” a livello internazionale. L’intento di questa ricerca artistica è di farci sentire che l’essere umano è collocato nella complessa rete delle interdipendenze della vita biologica terrestre.
Spesso è proprio il coinvolgimento dell’uomo a ostacolare i meccanismi della natura: un percorso artistico come il tuo si propone anche come un percorso verso questa consapevolezza? Può essere questa la funzione dell’arte, oggi?
L’arte contemporanea affronta le grandi problematiche odierne dell’umanità: dalle migrazioni epocali alle ingiustizie sociali. Ma il collasso ecologico, che ci ha portato nell’Antropocene – quale era della possibile sesta grande estinzione della vita sul pianeta – è indubbiamente il problema più drammatico. L’arte odierna vuole stimolare la presa di coscienza del disastro ecologico in atto e anche suggerire le nuove modalità di vita ecologicamente virtuose che possono salvare l’umanità e la biosfera.
Nelle tue opere il ruolo dell’uomo è al centro di una riflessione artistica quanto antropologica. Si può dire che la tua prospettiva, nei confronti dell’azione umana sul mondo naturale, quanto sulla comunità, sia contrassegnata da un sostanziale ottimismo?
L’arte a mio avviso è sempre polisignificante: da una parte, gli artisti denunciano la crisi antropica e le sue cause nel contesto del “Capitolocene”; dall’altra, mettono in evidenza le pratiche alternative per avviare la riconversione ecologica della nostra società. C’è una lotta in corso animata dalla speranza del cambiamento, ma la situazione della governance politica e del potere del capitalismo estrattivo-finanziario non ci permette ancora di essere “ottimisti”.
INTERVISTA A WALTER CAPORALE
Mettere la natura al centro di una mostra d’arte contemporanea può far riflettere e discutere, soprattutto quando in esposizione ci sono creature viventi. In una società dove la coscienza ambientalista e animalista è cresciuta esponenzialmente, c’è ovviamente la preoccupazione nei confronti degli animali mantenuti in cattività e messi sotto i riflettori in una mostra pubblica. Il dibattito è acceso e, per osservare la questione dal punto di vista di chi si occupa in prima linea di diritti degli animali, abbiamo chiesto l’opinione di Walter Caporale, presidente di Animalisti Italiani Onlus.
Tra arte e natura c’è un legame molto forte, a tratti inscindibile. Capita talvolta che come protagonisti di percorsi artistici ci siano creature viventi, poste al centro dell’indagine per motivi diversi, talvolta divulgativi, talvolta antropologici, più spesso per stimolare una riflessione intorno alle dinamiche dell’esistenza. Come vi ponete in dialogo con queste realtà?
L’arte è qualcosa di imprescindibile, non dovremmo mai censurarla. Detto questo, però, c’è un equilibrio che è necessario trovare, un equilibrio che consiste nel rispettare l’opinione altrui. Un tempo i circhi e i musei mettevano in mostra anche esseri umani, i cosiddetti freaks, esibiti come forma d’arte per le loro caratteristiche particolari. Ora, per fortuna, una cosa del genere non sarebbe neanche immaginabile. Ecco, lo stesso cambiamento di mentalità dovrebbe verificarsi anche nei confronti degli animali.
Qual è il limite che non andrebbe superato?
Di certo l’arte deve fermarsi quando c’è violenza: ci sono mostre che espongono corpi di creature viventi. Ecco, in questi casi bisognerebbe capirne meglio la provenienza, certificare che queste creature non siano state uccise allo scopo di essere messe in mostra. Spesso ci poniamo in dialogo con gli artisti, chiedendo una documentazione che testimoni la provenienza e la causa della morte degli animali. È quello che abbiamo chiesto ad esempio nel caso della mostra di Berlinde De Bruyckere, We are all Flesh, esposta a Roma nel 2016, ma purtroppo non abbiamo avuto riscontro. Insomma, dobbiamo sempre tenere presente che un animale non è un oggetto.
La situazione cambia quando l’obiettivo dell’artista è sottolineare il pericolo che corrono alcune specie animali, ormai in via d’estinzione?
L’importante, anche quando ci sono mostre che hanno questo obiettivo, è che effettivamente ci sia una documentazione che possa testimoniare che gli animali “esposti” non possano in nessun modo vivere in natura o essere reintrodotti nel loro habitat. Altrimenti ci sono altre vie per fare divulgazione: anche noi organizziamo eventi per porre l’accento su problematiche come l’estinzione o le violenze sugli animali per realizzare pellicce, e ovviamente ci serviamo di video, foto o documenti.
La percezione da parte del pubblico è cambiata, considerando che l’interesse per le tematiche ambientaliste è ormai estremamente diffuso e condiviso?
La prospettiva è di certo cambiata, e d’altronde non andremmo più in un museo per vedere un animale esotico – un elefante o un leone – così come accadeva in passato. Quindi sì, le cose sono migliorate, ma la strada è ancora lunga.
‒ Martina Russo
www.fondazionecentrostudipierogilardi.org
http://parcoartevivente.it
www.animalisti.it
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43
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