Milano, una città da abitare. L’opinione di Ugo La Pietra
Le riflessioni di Ugo La Pietra si inscrivono nel solco del dibattito attorno a Milano come modello culturale. Mettendo in evidenza gli ambiti su cui è ancora necessario lavorare.
“Viviamo affollate solitudini”. Con questa definizione ho cercato di spiegare ormai da tempo il fenomeno sempre più crescente dei milanesi che esprimono il bisogno di stare insieme.
È ormai sotto gli occhi di tutti la necessità dell’individuo urbanizzato di trovare momenti di collettivizzazione. Il numero crescente di single, la famiglia sempre meno unita, la perdita delle relazioni di quartiere (dovuta a sempre più importanti presenze di gruppi sociali disomogenei) ha fatto crescere il bisogno di “stare insieme” negli spazi collettivi.
Milano negli ultimi anni ha dato alcune risposte in questo senso: dagli spazi occasionali per le “cene in città” ad aree nuove o ristrutturate come la darsena, piazza Gae Aulenti fino alla crescita sempre più esponenziale di locali di ristoro che accolgono un numero sempre più alto non solo di abitanti ma anche di turisti.
È un fenomeno che all’apparenza è percepito come un fatto positivo, ma dietro questa immagine di animata e rinnovata capacità di “accogliere” si celano grandi problemi mai affrontati e quindi ancora da risolvere.
“È ormai sotto gli occhi di tutti la necessità dell’individuo urbanizzato di trovare momenti di collettivizzazione“.
Architetti e amministratori ci invitano ad abbandonare l’idea di un parco urbano contemporaneo e ad assistere al cambiamento delle stagioni guardando il verde sui grattacieli, o accontentandoci di veder crescere le palme nel grottesco giardinetto di piazza Duomo (su modello dei giardinetti urbani di fine Ottocento).
Milano è l’unica città europea che non ha mai avuto un progetto di illuminazione urbana. Ogni strada ha un proprio tipo di lampada/lampione, proprio come l’infinità di tipologie di dissuasori che caratterizzano le nostre strade e piazze.
Da quando è nata, all’inizio degli Anni Ottanta, la disciplina dell’arredo urbano, è anche stato istituito l’Assessorato all’arredo urbano. Per ora molti elementi che caratterizzano lo spazio urbano sono quasi sempre “segnaletica e attrezzature” che segnano violenza e separatezza.
Milano è l’unica città al mondo che ha destinato una vasta area del proprio territorio urbano al commercio all’ingrosso, generando traffico di mezzi per il carico e lo scarico (negozianti di tutta Italia vengono ad approvvigionarsi ogni giorno, anche il sabato e la domenica, dai grossisti collocati nel centro della città). Tra l’altro sarebbe buona cosa non chiamare più via Paolo Sarpi “isola pedonale” visto che tutte le mattine è interamente coinvolta da furgoni che riforniscono i tanti negozi all’ingrosso della via.
Milano è una città radiocentrica ed è per questo che le nostre piazze non hanno nulla a che fare con le “piazze italiane”; sono, di fatto, un insieme di incroci (di vie e di tram) che producono un’infinità di isole pedonali impraticabili. Sarebbe un bel tema progettuale per i giovani progettisti delle nostre facoltà di Architettura.
“Milano è una città non riesce a fare sistema utilizzando il grande patrimonio culturale“.
Altri temi importanti sarebbero da affrontare ma il più sentito da troppi anni, soprattutto dal mondo culturale, è il bisogno di costituire gruppi di operatori in grado di proporre “programmi culturali” per l’arte, per l’ambiente e per la comunicazione.
Il fenomeno “spontaneo e aggressivo” del “Fuori Salone” è l’espressione più evidente di una città che non vuole o non sa darsi delle regole, che non riconosce la sua vera natura (città orizzontale e città delle acque: si costruiscono grattacieli, si coprono i navigli) che non guarda con attenzione alle potenzialità (valori) della periferia, che non riesce a fare sistema utilizzando il grande patrimonio culturale (vedi la vecchia idea, fine Anni Sessanta, del Prof. Russoli sulla “Grande Brera” ripresa da un progetto La Pietra/Magistretti negli Anni Ottanta e mai realizzata).
Che infine non riesce a sfruttare queste nuove tensioni sui gruppi sociali che hanno sempre più bisogno di spazi per socializzare dando alle nuove generazioni strumenti e occasioni progettuali per abitare la città (espandere la personalità dell’individuo e/o del gruppo sociale, dare identità e significato ai luoghi).
Una pratica progettuale che non sembra interessare gli architetti (impegnati sempre più a celebrarsi con grandi strutture), ai designer (impegnati a produrre un sempre più ampio numero di oggetti da consumare), agli artisti (ormai solo ed esclusivamente presi dalla scalata al “sistema dell’arte”).
‒ Ugo La Pietra
Versione integrale del testo pubblicato su Artribune Magazine #43
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