Sulle mostre coatte. L’editoriale di Renato Barilli
Le mostre temporanee sono utili e necessarie, ma non se diventano un pretesto per riempire gli spazi museali e le pareti vuote. Ne parla Renato Barilli nel suo editoriale.
Ha avuto un giusto riscontro il pamphlet steso da Tomaso Montanari e Vincenzo Trione sulla circostanza che in Italia si fanno troppe mostre temporanee, il più delle volte inutili. Il fenomeno esiste, e deve essere corretto, non però fino al punto di escludere del tutto gli eventi temporanei. Molti dei nostri musei non hanno collezioni tali da richiamare un soddisfacente numero di visitatori, e in ogni caso tra i compiti da svolgere c’è anche quello di portare attenzione su nuclei di particolare importanza delle raccolte, con mostre che ne allarghino il contesto. Inoltre è anche opportuno cogliere a volo il comparire di tendenze innovative. Detto questo, però, è anche vero che non bisogna sentirsi obbligati a ospitare rassegne a ogni costo, paventando le stanze e pareti vuote. Un timore del genere può affliggere certi contenitori che sono stati predisposti con ampi spazi, così da sollecitare all’uso, ma appunto talvolta in forme coatte. Ho presenti, a questo titolo, due musei eccellenti.
“Molti dei nostri musei non hanno collezioni tali da richiamare un soddisfacente numero di visitatori, e in ogni caso tra i compiti da svolgere c’è anche quello di portare attenzione su nuclei di particolare importanza delle raccolte, con mostre che ne allarghino il contesto”.
L’uno è quello fornito, a Ferrara, dal Palazzo dei Diamanti, che ha avuto il merito di essere stato forse il primo, tra i musei municipali, a darsi un’ampia attività temporanea, fin dagli Anni Settanta, sotto l’abile regia di Franco Farina. I suoi continuatori hanno proseguito nell’offrirci spesso mostre memorabili, ma talora scatta l’ansia di non lasciare gli spazi vuoti, e dunque si va a riempirli con mostre non proprio necessarie, il che risulta anche da una certa vacuità dei titoli usati in occasioni del genere. Ora per esempio vi si può vedere una rassegna posta sotto l’etichetta degli Stati d’animo, che fruga su situazioni ormai ben note, quali la stagione del Simbolismo-Divisionismo, presso di noi, con la sua ripresa nel Futurismo. L’unica attenuante è che Ferrara ha dato i natali a uno dei grandi protagonisti di quella stagione, Gaetano Previati, largamente presente, quasi nella misura di una monografia.
“Non bisogna sentirsi obbligati a ospitare rassegne a ogni costo, paventando le stanze e pareti vuote”.
Le cose vanno decisamente peggio nel caso del complesso forlivese detto dei Musei di San Domenico, e certo quel municipio si può vantare di aver proceduto a un mirabile restauro e unificazione dell’esistente, valendosi di quello strumento per una serie di giusti recuperi di glorie locali, anche di valore nazionale. Penso alle mostre iniziali dedicate al Palmezzano, a Melozzo detto appunto da Forlì. Ma poi il colosso deve essere alimentato, e i titoli generici sono la spia di questo girare a vuoto. Oggi il San Domenico schiera L’Eterno e il Tempo, termini difficili da maneggiare con qualche precisione storica e filologica. Infatti si tratta di una passeggiata tra Michelangelo e Caravaggio, con scarsa presenza dell’uno e dell’altro, e in mezzo tanti aspetti tra loro discordanti, il tutto all’insegna del “toccato e fuga”.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43
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