Venezia. Quando innovare è una tradizione
Fondazione Bevilacqua La Masa, Galleria di Piazza San Marco, Venezia – fino all'8 luglio 2018. In mostra le opere prodotte dai borsisti dell'istituzione veneziana. All'insegna di una pluralità di linguaggi.
Quest’anno la consueta mostra di conclusione dell’anno di residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa ha un prologo nell’esposizione documentaria che ricorda due innovatori del panorama culturale italiano: Riccardo Selvatico e Giovanni Battista Giorgini. Il primo, commediografo e illuminato sindaco di Venezia, fu l’ideatore della Biennale di Venezia; il secondo, nel 1951 promosse a Firenze la prima presentazione di Alta Moda italiana.
I BORSISTI IN MOSTRA. LA PITTURA
Al piano superiore della Galleria si dipanano i lavori realizzati dai borsisti e, all’interno di una pluralità di linguaggi, è presente un nucleo di opere pittoriche che sembrano rinnovare la lunga tradizione propria della città: Chiara Enzo realizza u’indagine sul corpo, dove la perizia tecnica e il gusto per una visione frammentaria non sono un mero sfoggio di maestria, ma lo strumento per mettere in dialogo la persona rappresentata con il mondo esteriore in rapporto sospeso tra attrazione e negazione. Barbara De Vivi all’interno del medesimo dipinto armonizza una molteplicità di spunti iconografici provenienti da tempi e luoghi differenti, creando quella che Georges Didi–Huberman chiamerebbe una “sovradeterminazione” dell’immagine, basata sulla relazione dialogica tra presente e passato.
I dipinti di Jaspal Birdi hanno come spunto iniziale delle immagini fotografiche (che per loro natura dovrebbero esser portatrici di una “verità” mimetica) poi alterate da un’estetica del glitch che mette in crisi le certezze del reale quotidiano. Il cinese Yiming He parte anch’egli da momenti di assoluta normalità – come il rapporto con gli animali o la visione di elementi vegetali – per poi trasfigurarli in modo trasognante e sospeso.
I BORSISTI IN MOSTRA. ALTRI MEZZI
Nelle installazioni esposte di Francesco Pozzato è invece centrale il mito di Psiche, utilizzando il passato come lente per comprendere il presente e intrecciandolo alle proprie vicende autobiografiche. Le opere di Matteo Vettorello sono sculture “vive” in relazione con il fruitore, di cui misurano gli aspetti emotivi: il loro carattere peculiare è proprio una presunta scientificità dell’indefinibile, sospesa tra aspetto medicale e senso poetico.
Le opere di Ruth Beraha usano l’asciuttezza formale per rendere metaforicamente riflessioni che toccano storia, memoria e la necessità di non cadere nelle troppo facili semplificazioni contenute nella dicotomia tra bene e male. Tali concetti sono ben resi dalla frase dell’artista “l’avversario è parte integrante della nostra identità“, che dischiude il senso di alcune opere, come l’autoritratto formalizzato nella scritta dorata Arbeit macht.
– Carlo Sala
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