Il silenzio sul patrimonio d’arte. L’editoriale di Antonio Natali
Antonio Natali riflette sul silenzio che pare avvolgere, soprattutto a livello politico, il patrimonio culturale nostrano.
Sono stati in molti a notare – scandalizzandosene – che nel famoso “contratto” sotteso alla formazione del nuovo governo si ragionava poco o punto di cultura (per di più esibendo concetti frusti e parole usurate). Parimenti in molti si sono meravigliati dell’astensione di televisioni e stampa dall’esercizio della profezia riguardo al nome del possibile ministro dei beni culturali: gli strumenti di comunicazione si sono sbilanciati in vaticini su tutti i dicasteri, mentre su quello della cultura è gravato il silenzio. È uno stupore che si può giustificare soltanto in un giovane o in chi non abbia una gran memoria, giacché è sempre stato così. Purtroppo ho l’età per dirlo a ragion veduta.
“Se i partiti non sgomitano per avere un ministero vuol dire che non lo reputano importante”.
Entrai nelle Soprintendenze quando principiava la decennale stagione del “pentapartito” e anche allora giornali e televisioni s’affannavano a tentar pronostici sui ministri; ma su quello che avrebbe diretto i “beni culturali” nessuna divinazione. E alla fine, quando poi il nome era ufficiale, quasi sempre si trattava d’un politico ignoto ai più e per solito militante nel partito meno votato dell’intera coalizione. A questo punto, più che meravigliarsi di quanto accadeva e accade, sarebbe da chiedersene la ragione. Se i partiti non sgomitano per avere un ministero c’è poco da strologare: vuol dire che non lo reputano importante. Quanto ai mezzi di comunicazione, è noto che stanno ben attenti a non sottovalutare quegli argomenti che sappiano essere d’interesse del loro pubblico. Televisioni e giornali, per farsi guardare e leggere, s’occupano scrupolosamente di tutto quello che alla gente preme, omettendo quanto viceversa esuli dalla sua curiosità. Il loro silenzio e l’apatia della politica dovrebbero indurre a riflettere sul reale interesse che in giro si nutre per il patrimonio d’arte comune, fin a chiedersi se davvero esso sia amato dal popolo. Verisimilmente no. E però dev’esser chiaro che al popolo, eventualmente, andrebbero comunque imputate poche colpe, perché la responsabilità è sempre di chi governa, di chi, cioè, ha il dovere, per dettato costituzionale, di educare: educare a vedere nel patrimonio l’essenza ineludibile della nostra memoria (personale e collettiva), favorire la maturazione della coscienza storica dei cittadini, promuovere l’aspirazione alla conoscenza del nuovo e vanificare invece la venerazione perniciosa del feticcio alimentata dalla cultura industriale, addestrare a leggere le opere d’arte alla stregua di componimenti poetici (quali a tutti gli effetti essi sono).
“Bisogna smettere di puntare solo sulla mitologia di pochi grandi musei”.
La speranza è che il nuovo ministro non segua le orme di chi l’ha preceduto, rinunciando per prima cosa a buttar tutto in economia e finalmente restituendo il primato alla crescita intellettuale del popolo (specie dei giovani). L’ora è arrivata di smettere di puntare soltanto sulla mitologia di pochi grandi musei (per i quali era di recente invalso l’uso di snocciolare orgogliosamente numeri, ch’erano peraltro di peso esiguo). Abbia – il nuovo ministro – il coraggio di parlare d’un territorio ricchissimo d’episodi ragguardevoli, che tuttavia la carenza d’investimenti sta condannando al declino e talora alla rovina. E ne desuma un nuovo contegno per sé e per il ministero che guida. S’adoperi per un turismo più consapevole, meno legato all’idolatria delle solite città celebrate. Collabori infine alla costruzione d’una scuola che sia veramente “buona”, dove l’insegnamento della storia dell’arte non regredisca, ma sia anzi avvalorato e intensificato (non foss’altro per esser credibile quando poi, lui pure, dirà che il patrimonio d’arte è la nostra vera ricchezza).
Il giorno in cui si parlerà un po’ meno di soldi e un po’ più d’educazione, a beneficiarne sarà proprio il patrimonio. E insieme l’economia; per conseguenza.
‒ Antonio Natali
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #11
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