Summer Theory No. 2 (I)
Il nuovo ciclo di interventi firmato da Christian Caliandro prende le mosse dall’oggi. E dalla necessità di non accettare in silenzio l’imbarbarimento del presente.
Rodi Garganico, 9 giugno 2018 (sulla spiaggia). “Ho preso dei concetti mentre capivo che facevo arte relazionale, senza saperlo in realtà – non potevo mai ‘mischiare’, prima non potevi scrivere disegnare cantare e ballare, così per quindici anni – tu non puoi fare questo, tu non puoi fare quello, tu non puoi fare l’artista – poi si è creata una nuova visione, un nuovo ‘modo’ – noi siamo pionieri di noi stessi e non ce ne rendiamo conto – questa nuova visione dell’arte e del territorio è una boccata d’aria fresca all’esterno, per tutti – qui invece ti bloccano, devi combattere contro i mulini a vento – l’unica certezza è la tua convinzione (contro gli altri, nonostante gli altri), e poi il tempo – che gioca a tuo favore – gli altri arrivano dopo, molto dopo – è sempre così, ‘ah ma tu sei quella che ha fatto la mostra tre anni fa!…’ – sì, ciao – c’è un coinvolgimento fisico, l’opera ti dà una sensazione ma non basta più perché la sensazione oggi è soffocata da tutto ciò che ci circonda, da quello che hai in tasca (il telefonino) – e quindi le persone le devi prendere e scaraventare in una situazione – io ti metto davanti a un fatto e tu devi reagire. Azione/reazione” (Laura Cionci).
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29 giugno 2016. Vivere bene è la migliore vendetta – stai vicino a lei quando deve scegliere i vestiti, trovaglieli tu, sostienila – sono qui quando ti senti stanca e sola – ti tengo la mano – sono la nave che ti conduce in porto – guido sulla SS16, il mare e gli scogli alla mia sinistra – i luoghi una volta abbandonati e oggi riattivati, rigenerati con la cultura dritto davanti a me – nubi oscure improvvisamente si addensano cambiando l’aria, il cielo, la temperatura e il colore dello spazio – venti di aggressività, diffidenza, egoismo catturano l’ecosistema – gli infingimenti e le mascherate non funzionano più, collassano le strutture marcite e corrose dall’interno, implodono sotto la spinta di un’ignoranza fortissima, diffusa (le percentuali dell’analfabetismo funzionale in continua crescita) – un terzo dei poveri italiani ha un’età giovane o giovanissima, un dato terribile e foriero di sventura che passa però sotto silenzio – ciao è tardi, il tempo sta scorrendo via, è scaduto ed è stato sprecato – “ciao è tardi, ho provato a fermare la pioggia, l’hai letto per caso? Ci hai mai pensato? / Hai pianto forse quando l’hai visto arrivare? / Ciao è tardi, abbiamo provato a giocare e a vincere / l’hai sentito per caso? L’hai sognato? / so che hai pianto ma nulla è cambiato / nulla importa, ormai / non penso che sia durato molto a lungo / sono seduto qui sugli scogli, e la musica è troppo forte / è solo un gioco a cui giocavamo, non pensavo comunque che ce l’avremmo fatta / mi dispiace che non possa essere rimosso, cancellato” (Stone Temple Pilots, Hello It’s Late, in Shangri-la Dee Da, 2001).
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1 luglio. Il signore con la panza di fuori e il costume da bagno sul balcone, guarda l’aria e lo smartphone alle sette di sera – il razzismo poi che invade come una peste il mio Paese, i cervelli dei miei amici e delle loro madri – una disumanità così capillare e pervasiva che sembra già di vivere dentro… – c’è un livello di violenza verbale e psicologica, una vera fame di sangue, un disprezzo profondo della vita umana e una voluttà nel dire cose indecenti che fanno spavento – e il dovere allora è quello di testimoniare, raccontare, resistere.
Senza retorica, ma anche senza più ipocrisie, infingimenti, silenzi. Non si può fare finta di niente – per quieto vivere – contro l’inciviltà. D’ora in poi vale, sul serio. Chi sta zitto, chi sorride alle battute e ai discorsi apertamente razzisti (anche in modo stiracchiato, anche non condividendo, anche solo per non risultare “pesante” o per “non rovinare la festa”), beh sappia che sta collaborando attivamente alla barbarie che avanza e che si installa. La vergogna di una parte della popolazione che, per l’ennesima volta (come novant’anni fa, come quarant’anni fa, come venticinque anni fa) si umilia e anzi adotta prontamente atteggiamenti e modi di fare/di pensare osceni non merita alcuna comprensione. E anche l’ironia cinica, divertitamente superiore, fa pena e non serve a nulla, configurando una forma se possibile anche peggiore di collaborazione: nessuna battutina, nessun meme, ma risposte a muso duro, che bruciano istantaneamente le guance e la lingua; nessuna paura di essere sconvenienti, di “disturbare”: sconvenienti sono loro con le loro infamie, con la loro orrenda soddisfazione per i morti presenti e a venire.
Amicizie sbriciolate come durante il Ventennio, l’illogicità regna sovrana solo che adesso le persone non si vergognano più di mostrare il viso deformato dall’odio e dall’assenza di pietas, anzi provano orgoglio, si sentono finalmente legittimate, e appieno, in questa ridicola e tragica imitazione del più ottuso Midwest americano, e sempre copiamo il peggio dall’esterno, mai il meglio. (Sono fiero invece che i Pearl Jam durante il loro concerto abbiano scelto di mostrare il logo #APRITEIPORTI alla fine della cover di Imagine, fedeli a come erano, a come eravamo e a come saremo.) L’Italia e l’italiano hanno da sempre un gigantesco problema con i valori, quando tutto va bene è facile ma appena le cose vanno un pochino male è un attimo e crolla tutto, prevale il caro vecchio “particulare”, che non è neanche in fondo – a ben guardare – l’interesse vero e proprio ma una dimensione ancestrale, un ripiegamento, un vuoto e un’assenza: un buco profondo.
‒ Christian Caliandro
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