Zoran Mušic e la collezione di Giuseppe Merlini. A Venezia
Terminato il ciclo di mostre decennale frutto del dialogo con il collezionista belga Axel Vervoordt, Palazzo Fortuny ospita una doppia esposizione, che alterna la potente individualità artistica di Zoran Mušic alla polifonia visiva della raccolta creata da Giuseppe Merlini.
Varcare la soglia di Palazzo Fortuny, in uno degli angoli più ammalianti di Venezia, dà forma a un’esperienza ogni volta diversa. Un’aura di bellezza e mistero sembra emanare dalle pareti della dimora un tempo appartenuta a Mariano Fortuny, la cui collezione occhieggia, instancabile, dalle mura di un edificio labirintico, in grado di cambiare magicamente pelle insieme al susseguirsi delle stagioni espositive. Quella che ha inaugurato la scorsa primavera segna la ripartenza del museo dopo la collaborazione decennale con il belga Axel Vervoordt, regista, insieme alla direttrice Daniela Ferretti, di una serie di mostre che ha lasciato il segno.
LA STANZA DI MUŠIC
Il cambio di passo è evidente, ma non traumatico, e si concretizza in due rassegne ben allestite fra gli ambienti del palazzo. È la Stanza di Zurigo firmata da Zoran Mušic (Boccavizza, 1909 ‒ Venezia, 2005) a condurre lo sguardo oltre i limiti dell’ingresso e a farlo immergere nelle atmosfere in penombra che caratterizzano le linee e i colori scelti dall’artista sloveno per decorare il seminterrato della villa delle sorelle Charlotte e Nelly Dornacher a Zollikon, nei dintorni della città svizzera. Intonaco e tele di lino e juta non furono gli unici supporti voluti da Mušic, che trasformò anche tovaglie e tende e selezionò insieme alle padrone di casa i mobili destinati a completare la stanza. Ricostruito con maestria al piano terra di Palazzo Fortuny, l’ambiente evoca i temi cari a Mušic ‒ dai paesaggi delle origini ai ritratti dell’amata Ida Barbarigo e di se stesso fino agli immancabili scorci lagunari, testimoni del debito affettivo nei confronti di Venezia. Oltre alla stanza ‒ sottratta all’abbandono dall’intervento di Paolo Cadorin, cognato di Mušic e a capo del dipartimento di restauro del Kunstmuseum di Basilea all’epoca in cui supervisionò lo stacco degli intonaci dalle pareti e il loro trasferimento su pannelli in alluminio ‒, la mostra offre anche un colpo d’occhio su un mix di opere realizzate fra il 1947 e il 1953, custodite nell’archivio dell’artista e in collezioni private.
LA COLLEZIONE MERLINI
Salendo ai piani superiori, la pervasiva individualità di Mušic è sostituita da un coro di stili sintetizzato dalla raccolta di Giuseppe Merlini, sparsa fra le sale cariche di storia del museo. Perfettamente in dialogo con l’ambiente tutt’altro che neutro del palazzo, le opere lasciano intuire lo slancio del collezionista verso l’arte italiana e, in particolare, verso il linguaggio pittorico. Gli autori del primo Novecento affiancano le personalità emerse nel dopoguerra, restituendo una densa ricognizione sulle spinte creative nostrane del secolo scorso, selezionate dal gusto di Merlini. Non è casuale che il nucleo cardine della mostra ‒ La stanza del collezionista, eco sottile della stanza à la Mušic ‒ riunisca capolavori di Wildt, Fontana e Melotti, capisaldi di poetiche destinate a influenzare intere generazioni. Lungo una precisa linea del tempo trovano spazio gli interventi di Modigliani, de Pisis, Savinio, de Chirico, Campigli e anche di Burri, Turcato, Dorazio, solo per citarne alcuni. Nonostante l’ampio ventaglio di periodi confluito nella raccolta, non c’è margine per il caos o la sopraffazione dello sguardo, che invece illumina, in maniera netta, una raccolta fatta di passione e rigore.
‒ Arianna Testino
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati