Ossessione e collezione. La raccolta di Massimo De Carlo alla Triennale di Milano
La Triennale di Milano presenta, nel volume cubico dell’Impluvium, al primo piano, una parte della collezione privata e insospettabile del gallerista milanese. Il concetto di élan del collezionista, di serialità e di formazione sistematica si trasforma in un unico viaggio verso l’ideale.
L’ultima volta che un gallerista d’arte aveva stravolto la soglia dell’apparenza, alla Triennale di Milano, restituendo un volto al proprio nome e al proprio percorso, era stato Massimo Minini con Quarant’anni d’arte contemporanea. Massimo Minini 1973-2013 (18 novembre 2013 ‒ 2 febbraio 2014). A distanza di quattro anni, con Unico e ripetibile. Arte e industria nelle collezioni di Massimo De Carlo, la riproposizione di un allestimento che celebra un progetto di successo, e dunque di lunga durata nel mondo dell’arte moderna e contemporanea, rivela nuove, proprie idee fisse, svelando lati intimi, compulsivi e inattesi di un altro grande gallerista italiano.
DA GALLERISTA A COLLEZIONISTA
Nonostante il percorso di Massimo De Carlo in Triennale risulti, rispetto al rigoroso diario sentimentale di Minini, decisamente condensato, nessuno potrebbe aspettarsi una ricerca personale così a sé stante nei confronti dell’itinerario di selezione e di supporto attuato per promuovere i celeberrimi artisti della galleria. Tra Londra, Milano e Hong Kong, la galleria Massimo De Carlo rappresenta oggi il legame umano e manageriale di artefici agli antipodi fra loro, come Höller, i Gelitin, ma anche Matt Mullican, Kaari Upson, Urs Fischer, Carl Andre, Chris Burden, Gianfranco Baruchello, Lee Kit, Andrea Zittel e il sospirato Maurizio Cattelan. Eppure nel tempo dedicato a sé, Massimo de Carlo, in maniera traslata, vive l’esplorazione visiva e formale del compiere ricerca seguendo una linea temporale, un approccio sensoriale, un’attenzione multidisciplinare e archivistica, all’apparenza distanti, rispetto ai linguaggi estetici riservati alla sua scuderia.
SERIALITÀ E UNICITÀ
Il rapporto tra serialità industriale e unicità, in Unico e ripetibile, si trasforma allora in un raffinato espediente per tematizzare l’esposizione di cento oggetti, redistribuiti secondo tre nuclei e tre registri allestitivi. Alle tre pareti dell’Impluvium, infatti, l’intelligente allestimento specchiante disegnato dall’architetto Matilde Cassani mette doppiamente a nudo decine di ceramiche prodotte a Weimar negli anni precedenti alla Seconda Guerra Mondiale, una serie di ricami di lettere di Alighiero Boetti e i manifesti, dagli Anni Sessanta agli anni Novanta, del grafico, designer, educatore italiano AG Fronzoni. Temporalmente e visivamente l’itinerario formale di Unico e ripetibile risulta compatto, un vero e proprio viaggio verso un ideale di completezza che racconta, attraverso tre stratificazioni, una parte di una più ampia collezione del gallerista, iniziata trent’anni fa. Raccolta che si è evoluta anche nel segno dell’applicazione ricorsiva di elementi geometrici decorativi, nati con il movimento Bauhaus.
La mostra, in generale, valorizza la geografia istintiva di motivi che non sempre si presentano lineari, come le proiezioni ortogonali in bianco e nero, ma che, all’opposto, spesso emergono sgargianti, incombenti quali colori cuciti a mano.
‒ Ginevra Bria
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