Correva l’anno 1938 e 1943: le leggi razziali fasciste, Joseph Beuys e Margherita Sarfatti
Nuovo episodio di “Correva l’anno”, la rubrica settimanale di Artribune che racconta i fatti dell’arte del passato. Con un occhio all’attualità. Questa volta parliamo di due anni molto legati tra loro: 1938 e 1943
Nel 2018 ricorrono il settantacinquesimo e l’ottantesimo anniversario, rispettivamente del rastrellamento nazifascista del Ghetto di Roma (16 ottobre 1943) e della promulgazione delle leggi razziali italiane (5 settembre 1938): per l‘occasione la quarta edizione del Festival delle Letterature Migranti che si svolgerà dal 17 al 21 ottobre (dal 15 al 22 ottobre, includendo gli eventi collaterali) aprirà e chiuderà, al Teatro Massimo di Palermo, nel segno della memoria storica, filtrata dalla creazione artistica. Apre, infatti, con Shoah, di Claude Lanzmann– grande documentario sullo sterminio degli ebrei, realizzato dal giornalista e regista francese (scomparso nel luglio di quest’anno) attraverso interviste a sopravvissuti, carnefici, testimoni oculari – e chiude con un esperimento di sonorizzazione in presa diretta di Intolerance, il capolavoro muto di David W. Griffith del 1916 sul tema del razzismo, con quattro grandi musicisti. Ma cos’altro è successo di preponderante nell’arte in quello scorcio di fine anni ’30 e inizio ‘40 del secolo scorso? Dalla conversione di Joseph Beuys all’arte alla grande protagonista della scena culturale e politica del Novecento, Margherita Sarfatti, colpita dalle leggi razziali, ecco una selezione di fatti d’arte da ricordare…
– Claudia Giraud
IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI CHE NON C’È
Se c’è un libro che ha saputo dare un volto alle conseguenze delle leggi razziali antiebraiche, introdotte da Benito Mussolini nel 1938, quello è Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani. Ma quel giardino che il romanzo di Bassani, prima nel 1962, e il film premio Oscar di Vittorio De Sica, poi nel 1970, hanno fatto pulsare di voci, partite di tennis, passeggiate in bicicletta, alberi e fiori rari, amori impossibili e vite cui le leggi razziali avevano imposto una data di scadenza, in realtà non è mai esistito. Ha voluto, così, dargli corpo e immagine lo scultore israeliano Dani Karavan, realizzando la mostra Il Giardino che non c’è, che il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah – MEIS inaugurerà in Via Piangipane 81, a Ferrara, il 31 ottobre. “Trovo molto adatto illustrare il mio progetto proprio qui, nell’edificio in cui Bassani fu detenuto sotto il regime fascista”, ha detto l’ottantottenne Karavan. “Sento quest’opera come un’autentica necessità che viene dal profondo di me stesso e non vedo l’ora di vederla realizzata a Ferrara”.
LA CONVERSIONE DI JOSEPH BEUYS ALL’ARTE NEL 1943
Il 1943 è un anno decisivo per il futuro artista Joseph Beuys (Krefeld, 1921–Düsseldorf, 1986) definito da Lucrezia De Domizio Durini, collezionista e curatrice legata al maestro tedesco da un sodalizio professionale durato anni, “il più emblematico scultore del XX secolo”. Durante la Seconda Guerra Mondiale, impegnato sul fronte orientale come pilota dell’aviazione tedesca, in quell’anno precipita in una desolata pianura di Crimea, durante una tormenta di neve. Una tribù di Tartari lo trova sepolto, semi-congelato e gravemente ferito al capo e lo salva, coprendolo di grasso e avvolgendolo nel feltro. Proprio da questa esperienza, egli trae ispirazione per tutta la sua attività artistica. Ora, una mostra alla Casa di Goethe a Roma, in programma dal 10 novembre 2018 al 20 gennaio 2019, ne celebra i legami con l’Italia attraverso documenti che ne attestano la presenza, sia ai tempi del suo passato militare che a quelli legati all’attività di artista.
MARGHERITA SARFATTI COLPITA DALLE LEGGI RAZZIALI DEL 1938
La promulgazione delle leggi razziali fasciste nel 1938 colpisce anche Margherita Sarfatti (Venezia, 1880 – Cavallasca, 1961), giornalista, critica e promotrice dell’arte italiana tra le due guerre, nota anche per la sua relazione con Benito Mussolini che, a causa della sua nascita in una facoltosa famiglia israelita, è costretta a lasciare l’Italia. Donna colta e appassionata, ma anche complessa e controversa, amica di intellettuali e artisti, socialista e poi sostenitrice del regime fascista, lega il suo nome al gruppo di Novecento Italiano, che segue nella prima formazione e promuove con tenacia dal 1924 superando i confini nazionali. Una doppia esposizione, in corso al Mart di Rovereto e al Museo Novecento di Milano, fa luce su quegli anni così complessi.
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