Adrian, ovvero l’Italia secondo Celentano. Un finto profeta in un Paese per vecchi
“Adrian”, lo spettacolo di Adriano Celentano, ha debuttato sul piccolo schermo. Tra accenti retorici e lacune ben evidenti.
Dopo settimane intere trascorse a ghermire rapidamente il telecomando nel tentativo di abbassare repentinamente il volume del proprio televisore ogni volta che appariva il volto di Adriano Celentano, “finalmente” il tanto atteso (da chi non si è ancora capito) nuovo spettacolo-evento del nostro Molleggiato è approdato in casa Mediaset e ora che abbiamo visto i primi due episodi possiamo liberamente chiedercelo: ma cosa abbiamo fatto di così terribile da meritarci un supplizio simile? Seppure gli orrori quotidiani ai quali stiamo assistendo siano sufficienti per farci pensare a un imminente cataclisma biblico, di questo ennesimo concentrato di retorica spicciola, per di più spalmato nell’arco di tre mesi, davvero se ne poteva tranquillamente fare a meno.Nonostante gli intoppi riscontrati nel corso degli anni impiegati per la sua realizzazione, i fiumi di polemiche sul fastidio causato dall’improvviso superamento dei decibel durante la messa in onda del suo spot (antico stratagemma pubblicitario al quale l’Adriano nazionale ci aveva già abituati nel 2013 con i continui annunci del suo Rock Economy) e le tanto consuete quanto furbette voci che hanno fatto presagire un annullamento del programma, Adrian riesce a manifestarsi, il 21 gennaio in prima serata, in tutta la sua essenza fallimentare.
Ad accogliere il popolo italico dal palco del Teatro Camploy di Verona troviamo un Natalino Balasso atipico, in quanto non fa né ridere né riflettere, e un Nino Frassica (“prete peccaminoso”) fuori forma alle prese con una selezione/provino necessaria per poter far varcare la soglia di una nuova e salvifica Arca di Noè (che, in barba alla coerenza spazio-temporale, compare in lontananza a mo’ di fondale benché le sue porte siano state fisicamente collocate sul lato destro della scena) a coloro che più lo meritano. Tra gag che lasciano il tempo che trovano, un monologo di Balasso altrettanto inconcludente e una cascata di lampi e tuoni, Celentano si manifesta infine di fronte a un pubblico in delirio che purtroppo potrà vederlo solo per pochi attimi: giusto il tempo necessario per bere un bel bicchiere d’acqua.
L’ANIMAZIONE
Conclusa questa introduzione, che ridi e scherza dura almeno trenta minuti, si parte insomma con la graphic novel animata che dovrebbe rappresentare la punta di diamante del palinsesto 2019 di Canale 5. L’intera opera si avvale della collaborazione di numerosi professionisti illustri come Nicola Piovani, alle prese con la colonna sonora, il compianto Vincenzo Cerami per la supervisione dei testi e Milo Manara in veste di character designer: ciononostante, le lacune sono troppe e palesi anche agli occhi dei meno attenti. L’intera animazione si apre con un excursus storico della vita dell’essere umano: dall’età della pietra passando per l’immancabile e indelebile campo di sterminio di Auschwitz e le torri gemelle con l’intento di dipingere una “civiltà” fatta di sofferenze ed errori, ma con il risultato effettivo avente le sembianze di un polpettone di retorica che sa di stantio fin da subito. Ma andiamo avanti. Sin dall’inizio si viene catapultati in uno scenario che trova la sua collocazione ideale in una Milano del 2068: tanto cupa e distopica quanto però carica di un anacronismo imbarazzante, che raggiungerà il suo apice con la scena del megaconcerto di Capodanno condotto dall’acclamata rockstar Johnny Silver che eseguirà Mentre tutto scorre dei Negramaro… Avete capito bene, stiamo proprio parlando del celebre singolo della band salentina datato 2005! Protagonista assoluto dello sceneggiato animato è ovviamente Adrian, alter ego del cantore della via Gluck caratterizzato da un abbigliamento a dir poco novecentesco e da una presenza fisica molto vicina alle fattezze di un personaggio come Ken Shiro o Jotaro Kujo (di Le bizzarre avventure di Jojo), ma che purtroppo nulla ha a che vedere con la maestria dell’animazione giapponese.
Il nostro eroe lavora come orologiaio nella sua bottega insieme alla compagna Gilda (idealizzazione di Claudia Mori, celebre moglie di Celentano nonché produttrice della serie) che, per qualche inspiegabile motivo, non perde mai occasione di sfoggiare le proprie forme alla ricerca di amplessi brevi ma intensi. Proprio la figura dell’Orologiaio dovrebbe essere l’emblema di un profeta completamente consapevole e padrone del proprio tempo, così tanto da riuscire addirittura a cambiarne le sorti. In realtà l’impressione che si riceve è quella di trovarsi di fronte a una figura sicuramente carismatica, ma oltremisura narcisistica, che non solo sembra essere intrappolata nei tempi d’oro dei musicarelli, ma che addirittura non ha alcuna cognizione di causa relativa all’attuale contesto storico reale. Tutta la vicenda si sviluppa poi tra inspiegabili scelte di montaggio (farcite di ingiustificati reverse e costanti ripetizioni) e una animazione così grossolana e statica da farci rimpiangere le Winx (indimenticabile è la scena conclusiva del primo episodio dove si vedono i due protagonisti attraversare un deserto in groppa a dei dromedari i cui goffi movimenti ci riportano alla memoria uno dei tanti “capolavori” della tedesca Dingo Pictures), contornata da una narrazione che fa un po’ acqua da tutte le parti. Adrian si ritroverà infatti al centro di una colossale operazione sovversiva mirata a smantellare una misteriosa “organizzazione dittatoriale” che tiene le fila dell’intero Paese e forse anche di tutto il mondo (ciliegina sulla torta il controverso palazzone della Mafia International che si erge nella città di Napoli) decantando una costante ricerca del bello e dell’amore che rivela invece una visione estremamente maschilista sia nei confronti delle donne che del sesso.
AUTOREFERENZIALITÀ E LUOGHI COMUNI
Discorso identico a quanto detto sopra lo si può fare per il secondo appuntamento dello show che, oltre alla breve e consueta apparizione muta di Celentano sul palco del Camploy, questa volta vede la partecipazione al programma di Giovanni Storti, del celebre trio Aldo Giovanni e Giacomo, alle prese con battute infelici sulla delicata questione dei migranti, lontanissime dal concetto di satira politica. Per quanto riguarda invece la parte animata, continuano le sconclusionate e incongruenti peripezie del fantomatico Orologiaio che questa volta veste i panni de La volpe: un supereroe mascherato, al limite del ridicolo, che tra un passo di tango e una mossa di kung fu riesce a sgominare bande di delinquenti mandandoli dritti all’ospedale…
In tutto questo delirante oceano di autoreferenzialità senile e luoghi comuni ad Adrian bisogna però essere grati per due aspetti positivi: l’augurio che un prodotto simile riesca a far maturare una consapevolezza collettiva atta a comprendere la drammatica condizione creativa e culturale nella quale oggi versa il nostro Paese e la generazione irrefrenabile di meme e vignette sarcastiche che stanno oramai inondando l’Internet. Nell’attesa di scoprire se questo flop epocale riuscirà ad arrivare alla sua conclusione (ebbene sì, Adrian si compone di 9 puntate di cui l’ultima prevista per martedì 5 marzo) non rimane dunque che armarsi di popcorn, assistendo così allo straripante rumore mediatico che questa dispendiosa operazione ha generato, o in alternativa spegnere tutto e dedicarsi attivamente a questioni più urgenti con la speranza di cambiare realmente il corso delle cose.
‒ Valerio Veneruso
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