L’Aquila 10 anni dopo. Parola a 11 protagonisti della cultura
Sono trascorsi 10 anni dal terremoto che sconvolse L’Aquila il 6 aprile 2009. Qual è lo stato dell’arte? Come la cultura sta intervenendo oggi e a questo proposito? Ne abbiamo parlato con undici protagonisti del dibattito contemporaneo sulla città.
STEFANIA PEZZOPANE ‒ PARLAMENTARE
La cultura è stata ed è essenziale. Ero presidente della Provincia il 6 aprile e poi sono stata dal 2010 al 2013 assessore comunale alla Cultura. Ripristinare i luoghi della cultura, crearne subito di nuovi in sostituzione di quelli distrutti, aiutare le istituzioni a rimanere, a non fuggire, è stato un lavoro terribile e difficile.
C’era l’emergenza casa, l’emergenza lavoro, il dolore delle perdite umane, e a molti poteva apparire assurdo preoccuparsi di far riprendere musica, cinema, teatro… ma l’ho fatto e ne sono orgogliosa. Così come sono orgogliosa di aver fatto approvare una norma che assegna il 4% dei fondi per la ricostruzione alla rinascita di attività produttive, economiche e culturali, e questo ha consentito di salvare le attività culturali, i posti di lavoro, le iniziative e la creatività. L’Aquila oggi è un grande esempio di resilienza e di ricostruzione culturale. Sono nate tante cose nuove. Questo non cancella la fatica, ma dà un segno di grande speranza.
GIOVANNA MELANDRI ‒ FONDAZIONE MAXXI
Credo che la cultura abbia un ruolo importante per la rinascita de L’Aquila a dieci anni dal terremoto: dalla cultura si riparte per riattivare l’economia e l’anima di un territorio ferito, ma di straordinaria vitalità, sede di prestigiose istituzioni culturali e scientifiche. Per questo abbiamo risposto con entusiasmo alla chiamata istituzionale per il progetto di MAXXI L’Aquila.
L’anno scorso il Parlamento ha deciso di accordare a questo progetto un finanziamento per sei anni, per garantirne l’avviamento e la successiva gestione. Ci auguriamo che venga confermato allo stesso livello del 2018 e del 2019 (2 milioni di euro l’anno), ma purtroppo a oggi è previsto un dimezzamento dal 2020, che renderebbe impossibile proseguire l’impresa. Intanto, da oltre un anno stiamo lavorando in rapporto strettissimo con il territorio, con l’amministrazione, la città, il sindaco, la Regione, ma anche con le istituzioni culturali che rendono L’Aquila un centro particolare, innervato di una ricchissima presenza culturale e scientifica. Non serve un museo calato dall’alto: siamo al servizio di questo progetto e vogliamo lavorare insieme alle eccellenze accademiche, scientifiche, culturali del territorio. I grandi progetti hanno bisogno di collaborazione e concordia interistituzionale, e noi siamo pronti.
TIZIANO SCARPA ‒ SCRITTORE
Tre anni dopo il terremoto, nel 2012, la rivista Il primo amore ha organizzato Stella d’Italia, un lungo cammino a piedi aperto a tutti e molto partecipato che, partendo da Genova, Venezia, Reggio Calabria, Santa Maria di Leuca e Roma, convergeva simultaneamente su L’Aquila. Lì, insieme a gruppi e associazioni locali, ci sono stati tre giorni di incontri, spettacoli, concerti. Ne è sortito anche un libro collettivo, pubblicato negli Oscar Mondadori. Siamo tornati l’anno dopo per fare il punto della situazione. Insomma, nel nostro piccolo non c’è stato disinteresse.
Personalmente, mi impressionarono molto le new town; mi sembrarono anche un simbolo della situazione contemporanea generale: i “centri storici” tradizionali della vita – dalla famiglia ai soldi, dall’educazione al lavoro – sono terremotati, lesionati, inabitabili; si vive in nuove mentalità che hanno un aspetto posticcio ma sono la vera realtà.
ALESSANDRO CHIAPPANUVOLI ‒ SCRITTORE
Non so se ci sia mancata la forza, la capacità politica o civica, di certo ci è mancata la lucidità. Abbiamo avuto l’occasione di ripartire da zero, non per forza stravolgendo l’assetto urbano, ma decidendo con calma cosa potenziare, su cosa investire, e non l’abbiamo fatto. È come se ci fossimo barricati dietro quel “com’era, dov’era” e dopodiché avessimo soltanto atteso la pioggia di fondi, la redazione dei progetti, singoli, unici, slegati, l’allestimento dei primi cantieri e avessimo cominciato a ricostruire tutto com’era prima, puntando solo sul miglioramento sismico.
Come se L’Aquila fosse solo un ammasso, una distesa senz’anima di case e palazzi. Come se – e questa è l’unica giustificazione – la precarietà causata dal terremoto e l’incessante stato d’emergenza ci fossero restati dentro. Non abbiamo lavorato sull’identità, non abbiamo ragionato sulla nuova identità che avremmo potuto darci, benché le nostre bocche fossero colme di ritrovata “aquilanità”, di “torniamo a volare”, di “L’Aquila rinasce”, di “non molliamo”; speranze più che progetti, chimere più che idee.
AGNESE PORTO ‒ RVM MAGAZINE
Dieci anni sono volati via. Ieri era tutto distrutto e oggi c’è ancora tanto da fare e quello che è stato ricostruito è bellissimo ma ancora privo d’identità; ieri eravamo una sconosciuta città di provincia e oggi siamo una celebre città di provincia. Dieci anni, nella storia di una città medievale, non sono nulla. Uno starnuto. Ieri era il 6 aprile 2009 e quello che i fatti umani – come la cultura – possono fare è aiutare a dare delle forme al disastro, forse dei codici, se si è bravi davvero, delle visioni. “La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano”, scriveva Calvino, e quello che più mi auguro per la mia città e per l’Italia è di contenere il proprio passato senza venerarlo e senza restarvi impigliata.
Non so se c’è una lezione da imparare, forse non siamo stati bravi abbastanza per darne, di sicuro quel che ho capito è che non bastano grandi sogni per fare grandi ricostruzioni, probabilmente servono più lettori di Calvino. “D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”. (Le città invisibili).
MATTEO DI GENOVA ‒ ATTORE
A L’Aquila manca la ricostruzione sociale, nelle sue frazioni ancora anche quella fisica, in generale per le aree interne dell’Abruzzo manca una visione a lungo termine. La linea dei governi (alla quale i comitati si sono strenuamente opposti) è sempre stata quella di escludere i cittadini dalle decisioni che li riguardavano da vicino e la cultura dell’assistenzialismo (a discapito di prevenzione, partecipazione e progettualità) sembra permeare ampi settori di società italiana.
Dal punto di vista della cultura ho trovato ne L’Aquila post-sismica una tempesta di stimoli artistici e una grande predisposizione di pubblico, utilissime al rinvigorimento del tessuto sociale. Quello che manca è però una rete di servizi e infrastrutture degna di un capoluogo, che consentano agli operatori di organizzare agevolmente il lavoro. La lezione che dovremmo imparare da questi ultimi dieci anni è che non esistono uomini della Provvidenza.
DONATELLA GIAGNACOVO ‒ ARTISTA
Vedere velocemente il fuori, individuare i posti, le strade che si dipanano come un filo di gomitolo di cui smarrisci l’andare. La velocità dell’esterno e il fermo immagine interiore. Il rumore delle rotaie, stridente e acuto. A tratti duro. Vivere a L’Aquila è come viaggiare costantemente in treno. Un viaggio lungo dieci anni ormai. La partenza, terrificante. La ricostruzione, altra ripartenza, attesa di un orizzonte riconoscibile. Ben visibili gli insediamenti provvisori-duraturi. Nella città del dopo, brillano i palazzi nobiliari e signorili, cattura la struggente maestosità di Collemaggio. La periferia ricostruita è operosa, disarmonica e caotica. I paesi intorno congelati a quella notte.
Intere generazioni del dopo hanno trascorso gli anni dell’asilo e delle elementari nei Musp. In centro le giornate singhiozzano, brulicano di operai i caffè al mattino, ambìti i molteplici locali per le serate dei giovani. Frenetica la vita manifesta sui social. Eventi musicali, spettacoli teatrali, arte varia, pratiche sportive condite da politiche culturali di animazione. Il virtuale ha sostituito il crocevia dei vicoli, lo struscio sotto i portici… Di questo viaggio, pur cogliendo e apprezzando alcuni suoi momenti, mi è assenza il suo percorrerlo.
GIUSEPPE STAMPONE ‒ ARTISTA
Parlando de L’Aquila mi viene in mente la Foresta di cristallo di J.G. Ballard, dove il protagonista, il dottor Edward Sanders, si reca in Camerun per cercare un’amica avventurandosi all’interno di una foresta apparentemente normale. Solo in seguito Sanders si renderà conto che nella foresta ogni materia vivente si cristallizza, si trasforma in cosa inanimata, e che anche il tempo si ferma. Sono ormai anni che il nostro “Bel Paese” vive in questo stato di immobilità fisica e mentale.
Si sta facendo qualcosa per L’Aquila? Sì, la si sta rapinando ogni giorno di più! La zona rossa, da luogo di lutto e vergogna, è diventata per lungo tempo un palcoscenico mediatico dove fare la propria passerella: L’Aquila come Hollywood, dopo che è stata vetrina di passaggio di tanti – da Barack Obama ad Angela Merkel, da George Clooney a Carla Bruni. Artisti, registi, saltimbanchi e ballerini… Oggi tutti i riflettori si sono spenti e purtroppo L’Aquila non è più un’opportunità di propaganda politica e mediatica. Quindi, per quanto mi riguarda, no, L’Aquila non ha risolto i propri problemi, che ancora oggi sono tanti. Ma soprattutto, ancora oggi, 308 vittime ufficiali e tantissime altre, che a causa del terremoto negli anni si sono aggiunte, non hanno avuto il rispetto che meritavano.
GERMANA GALLI ‒ AMICI DEI MUSEI D’ABRUZZO
La ricostruzione della periferia è sostanzialmente ultimata; il centro storico è in buona parte ricostruito, con anche significativi esempi di un bel recupero per importanti palazzi. L’evento del 2009 ha colpito una città storica e questo forse ha reso gli italiani più consapevoli di vivere su un territorio a rischio sismico.
In questi dieci anni si sono registrate parecchie iniziative tanto spontanee quanto non professionali, forme di “artismo”. I fondi destinati alla cultura sono serviti a mantenere in vita le istituzioni, che peraltro hanno ridotto le loro attività, e alcune, nelle difficoltà, si sono estinte. La nostra rivista ha continuato la propria produzione sia in ambito editoriale sia come organizzatrice di iniziative con artisti che volontaristicamente hanno contribuito a mantenere una vivacità di proposta. Agli annunci di interventi molto spesso non è seguita una concretezza. Esemplificando: gli Incontri internazionali del Jazz stanno avendo un importante risultato, d’altro lato l’arrivo in città del MAXXI risulta travagliato e recenti tagli di risorse da parte del governo attuale lo mettono in forse.
VERONICA SANTI ‒ CRITICO D’ARTE E REGISTA
L’Aquila è la città della resistenza. Un’anomalia nell’Italia di oggi, reazione alla gestione dell’emergenza post-terremoto. In contrapposizione alla filosofia perseguita dal governo Berlusconi e dalla protezione civile, i progetti nati dal basso o dalla collaborazione tra cittadini e istituzioni locali e internazionali hanno resistito negli anni e forgiato l’attuale identità della città, raggiungendo peraltro risultati di eccellenza nell’ambito dell’istruzione (!), delle metodologie politiche (!) e della cultura (!). Mi riferisco per esempio ai restauri, all’attività del 3e32 e di CaseMatte, alla nascita del GSSI, al Festival della Partecipazione. E, ovviamente, a Off Site Art che, come un virus, ha innestato l’arte pubblica nel meccanismo della ricostruzione, riconoscendole il diritto di sostituirsi alla pubblicità in una città priva di spazi espositivi, per regalare momenti di riflessione e decoro urbano a tutti.
Rimangono tuttavia i danni della corruzione e delle operazioni speculative calate dall’alto delle prime ore, come i famosi progetti C.A.S.E, consegnati con bottiglia di spumante e torta nel frigo (!), costati 2.800 euro al mq (!), i cui balconi sono crollati dopo appena cinque anni (!). Cosa farsene, oggi? Gli aquilani devono resistere anche a questo.
ANTONIO DI GIACOMO ‒ GIORNALISTA E CURATORE
L’Aquila vuole, e deve, rinascere. Si dirà forse anche in questo decennale che qui c’è il cantiere più grande d’Europa. Lo si ripete come un mantra cantilenante, in prossimità di ogni anniversario del 6 aprile 2009, e magari è pure così. Peccato che non basti. L’Aquila rinasce, d’accordo, ma solo a metà. Riapre dopo il restauro la Chiesa delle Anime Sante, ma a dieci passi la Cattedrale di San Massimo ancora scoperchiata attende la sua ricostruzione. Risorge il centro della città, sebbene a macchia di leopardo, ma nelle frazioni, e nemmeno in quelle più remote, il tempo è ancora fermo al 2009.
No, eccezion fatta per la tempestività nella realizzazione degli insediamenti abitativi dell’emergenza, ormai tutt’altro che temporanei, il caso aquilano non è stato affatto un modello positivo di politiche del dopo-sisma. Eppure altrove, nel Centro Italia ferito dai terremoti del 2016/2017, va finanche peggio. È la solita storia che si ripete. In un Paese senza memoria che non sa trarre alcuna lezione dagli errori del passato.
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47
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