Spazi matriarcali e altri scivolamenti (VI). Lettera aperta agli uomini
Annika Pettini scrive una lettera aperta agli uomini. Chiedendo loro di raccontarsi.
Milano, gennaio 2019
Non lo so come si parla agli uomini, non conosco il loro linguaggio, il loro mondo, i loro segreti.
Passo tanto tempo a viverli e osservarli eppure mi sembrano un luogo misterioso, inaccessibile.
Siamo così concentrati su noi donne, sui nostri problemi e le nostre battaglie, che ci siamo dimenticati degli uomini, uomini compresi.
Chi siete? Che cosa fate? Che cosa provate a stare su questa terra, in questa vita?
Avete costruito tutte le regole dentro cui ci muoviamo, eppure mi sembrate persi. Una realtà a vostra immagine e somiglianza, che non è più in grado di restituirvi la vostra immagine, così cambiata nel tempo.
Vi osservo, vi studio da un angolo in ombra di ogni stanza e mi sembrate dimenticati. Tutto vi si muove intorno con inerzia, con il fascino malinconico dei regni sontuosi e poi abbandonati. Uno sfarzo rabbioso e decadente. Trascurato.
Io non lo so come si parla agli uomini, ho scelto di essere donna e con questa voce vi posso restituire ciò che la mia anima sente.
È un disegno che inizia in bianco e nero, con il tratto elegante degli inchiostri orientali. Si trascina sulla carta con maestria e viene assorbito con leggerezza: con quei tratti neri si delinea il percorso di un uomo, asciutto, concreto, occhi negli occhi, testate, rivoluzione.
La vera forza sta nella capacità di controllarla e di convogliarla e io, da donna, sento un brivido in ogni carezza che imparate a far scivolare sulla pelle, l’ardore. Dalle vostre mani nasce la passione, siete i più vibranti danzatori della natura e di tutta la materia animata e inanimata che la compone. Siete l’esplosione che permette alla terra di girare sul suo asse, ruggendo intorno al sole. Io mi sento protetta, dove protezione non è sottomissione, è reale conforto generato dalla sapiente capienza delle vostre spalle, per quanto magre, gracili o possenti: lì sotto è sempre casa, se usate per salvare e non per soffocare.
C’è in voi la sorprendente capacità dell’immobilità: solo le piante sanno sopravvivere in questo mondo stando ferme. Per noi l’istinto è muoverci e fuggire. Eppure l’uomo sa mantenere salda in un punto tutta la sua anima, se legata a qualcosa che ama. Noi donne voliamo, svolazziamo nei flussi irrequieti di ogni vento, mentre voi siete la colonna solida che tiene in piedi l’universo.
E tutto questo con la straordinaria capacità di mantenere vivo un magma incandescente nel vostro nucleo, una dose inesauribile di pazienza e costanza, di silenziosa capacità di amare dettata dalla perseveranza dei gesti. Tormentati dalla totale e incondizionata fragilità della vostra anima: una paura che è cresciuta fino a esplodere, fino a diventare il terrore che segna oggi i vostri occhi e che vi rende irrequieti e aggressivi, scostanti e stanchi.
Abbiamo fallito.
Accogliamolo questo fallimento come chiave del cambiamento, andiamo in montagna e respiriamo aria immensa, scendiamo al mare e costruiamo castelli di sabbia, togliamo le rotelle e cadiamo insieme dalla bicicletta infinite volte, fino a quando non avremo capito come stare in equilibrio e pedalare.
Abbiamo paura della vostra paura perché forse possiamo anche essere forti per entrambi, ma in realtà non vogliamo. Abbiamo bisogno di voi, vi vogliamo accanto nel vostro ruolo, senza opprimerci ma nutrendoci a vicenda.
Dimenticate il gelo che spazza le vite di tutti noi, se stiamo vicini possiamo generare calore e accogliere ogni debolezza per conoscerla e amarla. Noi le vostre, voi le nostre.
Ma abbiamo bisogno che ci parliate di voi, raccontateci che cosa è un uomo, spiegateci come si parla a un uomo, di che cosa ha bisogno un uomo.
Fermatevi e spezzate questa ruota folle di cui avete perso il controllo, perché ogni sorriso che ci regalate ci fa ricordare nel profondo perché vi amiamo e non smetteremo di cercarvi: anche se siete rintanati nel profondo di voi stessi, spaventati come animali feriti, istintivi e feroci, respingenti e cupi.
Io non lo so come si parla agli uomini, ma posso raccontare dei chilometri guidati di notte mentre dormivo un sonno sereno, dei tubi riparati, dei mobili montati, delle birre bevute. Posso raccontare dei balli danzati senza musica, delle notti in motorino senza casco o delle lacrime raccolte da quelle solide spalle. Della forza trasmessa quando viene a mancare e dell’esserci, quando tutti sembrano scappare. Dei racconti negli spogliatoi degli uomini che a noi sembrano sempre un mistero e delle amicizie legate a corpi che corrono, a pugni che volano, a fratelli nelle cui vene scorre sangue diverso. Questa forza pura, potente come il magma che vi ribolle dentro, è tutto. Semplicemente tutto.
È una cosa semplice, dicono, soffriamo quando ci siete e soffriamo quando non ci siete. A ognuno il suo, per noi è così che amiamo.
‒ Annika Pettini
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