Gli anni d’oro della Galleria dell’Ariete e dell’arte italiana. A Milano
ICA, Milano ‒ fino al 2 giugno 2019. Un percorso intimo e intenso descrive, tramite lettere, documenti, cataloghi, fotografie e opere su carta, la vicenda della galleria milanese e delle relazioni con il panorama artistico e letterario più stimolante dell’epoca.
C’è stato un tempo in cui gli artisti partecipavano alla vita e alla crescita di audaci gallerie, all’epoca molto meno inflazionate del presente, dedicandovi opere, parole di sincera amicizia e realizzando a mano gli inviti delle mostre. Così è stato per la Galleria dell’Ariete, nata nel 1955 a Milano e attiva fino ai primi Anni Ottanta. ICA – Istituto Contemporaneo per le Arti dedica uno spazio, piccolo ma denso di significato, alla vicenda di questa realtà attraverso appunti, documenti, lettere e cataloghi. La galleria dell’ariete. Una storia documentaria, a cura di Caterina Toschi, si inserisce nel programma espositivo Gallery Focus, con cui di volta in volta ICA racconta l’epopea di una galleria italiana che ha costituito una pietra miliare nella storia dell’arte a partire dal dopoguerra.
LA GALLERIA DELL’ARIETE
Era poco più che venticinquenne Beatrice Monti della Corte quando decise di mettersi in proprio nello spazio di via Sant’Andrea 5 a Milano. In un’Italia non ancora del tutto decollata, aprire una galleria d’arte non era tra le scelte più facili. Ancor meno lo fu con la conduzione della gallerista la quale, consigliata da critici d’eccezione quali Michel Tapié e Herbert Read, scelse fin da subito di incoraggiare le tendenze più sperimentali del momento, volgendo presto lo sguardo oltreoceano: risale al 1960 la mostra Eleven Americans durante la quale la Galleria dell’Ariete (ariete come il segno zodiacale di Beatrice) ospitò gli artisti americani Mark Rothko, Franz Kline, Willem De Kooning, Barnett Newman, Jackson Pollock, Adolph Gottlieb e Philip Guston, al tempo lontanissimi dai gusti del pubblico nostrano.
E la sua lungimiranza si confermò poco dopo con la personale di Robert Rauschenberg, portandolo a Milano anni prima che quest’ultimo vincesse il Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Una storia intrecciata a quelle di critici e letterati che frequentarono la galleria, presentati in questa mostra grazie a documenti, lettere, annotazioni e scatti, molti dei quali di Ugo Mulas, fotografo di punta della galleria.
LA MOSTRA ALL’ICA
La mostra ospitata da ICA è uno spazio intimo e ben ponderato: in pochi metri quadrati sono raccolti trent’anni di storia di una delle gallerie più visionarie del dopoguerra italiano. Tra gli elementi più curiosi, vi sono, allineati sulla parete, i manifesti delle mostre susseguitesi nel tempo, realizzate dai rispettivi artisti. Bando a qualsiasi utilizzo di stampanti e strumentazioni digitali, sono realizzate a mano, su semplicissimi fogli bianchi. Ma è proprio da questa essenzialità che emerge lo spirito originale di ognuno: Giulio Paolini compone un anagramma con le lettere del proprio nome, Enrico Castellani scrive il suo con una bella calligrafia su sfondo bianco, Mimmo Rotella utilizza dei ritagli di immagini pubblicitarie di riviste sovrapposti con lo scotch, Mario Nigro alterna trattini blu e rossi a pennarello.
Di fronte, una raccolta di cataloghi delle mostre si estende sul muro come un mosaico colorato: sottilissimi libricini dello stesso formato possono essere sfogliati per mezzo della tecnologia, un palmare in cui vederne le scansioni che ne preserva la fragilità dall’usura del tempo.
‒ Giulia Ronchi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati