L’influenza di Leopardi sul mondo dell’arte. Ciclo di mostre a Recanati
Fra estetica e filosofia, arte moderna e contemporanea, dalla metà dell’Ottocento ai giorni nostri, un percorso in due parti ricco di suggestioni estetiche e concettuali rende omaggio a Leopardi. A Villa Colloredo Mels, fino al 3 novembre, il secondo ciclo di mostre del percorso “Infinito Leopardi”, per riflettere sulla bellezza e l’universalità del capolavoro leopardiano.
In un percorso a ritroso, d’ideale riavvicinamento a Leopardi, la prima mostra che si presenta al pubblico è Interminati spazi e sovrumani silenzi, che vede il confronto fra Giovanni Anselmo e Michelangelo Pistoletto, con installazioni degli Anni Sessanta appositamente ripensate per la mostra recanatese. Utilizzando uno dei suoi mezzi più ricorrenti, Pistoletto costruisce attorno al noto Metrocubo d’infinito un ambiente supplementare rivestito completamente di specchi, che proiettano appunto all’infinito, in altezza e in profondità, la figura di chi vi accede; la valenza è però doppia, perché suggerisce quel perpetuo gioco d’immagini che non possiamo vedere, poiché il Metrocubo d’infinito presenta al pubblico non la superficie riflettente, ma quella di grigio metallo. Come Leopardi davanti alla siepe, anche l’osservatore di oggi si ferma davanti alle lastre e immagina ciò che sta oltre.
Di stampo più concettuale il lavoro di Anselmo, articolato su tre momenti installativi: quattro disegni a grafite (di una serie di 35), riproducono un particolare di una singola lettera della parola “infinito”, ingrandito in maniera esponenziale, a significare la possibilità di raggiungere “interminati spazi” anche dove questi sembrano limitati. A seguire, un vecchio apparecchio per diapositive proietta la parola “infinito”, che tuttavia appare sfocata, a ricordare come questa sia una dimensione non propria dell’uomo, e quindi non chiaramente comprensibile. Per contro, è il termine “particolare” a essere proiettato con chiarezza. Con il terzo momento, la medesima parola si stampa sul corpo dell’osservatore, a ricordargli come ogni singolo individuo sia l’infinitesima parte di una sconosciuta, infinita realtà. Un percorso installativo che, a partire da Leopardi, riflette anche sulla caducità e finitezza umana.
L’IMMENSITÀ DELLA TELA
Interamente dedicata alla pittura moderna dalla fine dell’Ottocento agli Anni Venti del Novecento, La fuggevole bellezza. Da Giuseppe De Nittis a Pellizza da Volpedo racconta la percezione dello spazio e del tempo a partire dall’epoca in cui la natura, grazie agli impressionisti, diviene un soggetto pittorico autonomo. E se le marine di De Nittis risentono ancora di un leggero retaggio romantico che fa pensare a Turner, il legame con Leopardi nasce spontaneo nella contemplazione di un vasto mare agitato, su cui s’intravede all’orizzonte un bagliore dorato che suggerisce, anche, la quiete dopo la tempesta. Così come la “donzelletta che vien dalla campagna” sembra apparire nella pittura sociale di Giovanni Zoccatelli, con la giovane contadina che lascia vagare lo sguardo, persa nei “sovrumani silenzi” della vasta campagna veronese.
Il Novecento, secolo laico, perse un po’ il fascino per l’infinito, e per qualche tempo sembrò prevalere la fascinazione per l’istante: Plinio Nomellini, Baldassarre Longoni, Francesco Romano fermano sulla tela istanti del ciclo naturale, lo sbocciare della campagna in primavera e la delicatezza delle aiuole fiorite: due spazi naturali “contrapposti”, uno fatto di dure fatiche, l’altro per il piacere dello sguardo. Ma entrambi capaci di regalare istanti che si ripetono in perpetuo, secondo i cicli naturali.
La mostra è anche occasione per conoscere, sulle orme di Leopardi, pittori meno noti ma non meno interessanti del Novecento italiano: dopo Longoni e Romano, il suggestivo Damaso Bianchi, le cui stradine incassate fra muri bianchi, e da queste seminascoste, suggeriscono percorsi da immaginare e su cui spingersi con il pensiero. Suggestiva chiusura della mostra con Il sole, pittura divisionista di Pellizza da Volpedo: forse un’alba, forse un tramonto, forse entrambi, è il simbolo per eccellenza, con il suo nascondersi e mostrarsi ogni giorno, del ciclo della natura e della vita che si consuma e si rinnova in eterno. E, unicum nel percorso, la xilografia di Bruno da Osimo de L’Infinito, realizzata nel centenario della morte del poeta.
A completare il raffinato allestimento, versi poetici accostati a numerose opere, da Montale a Neruda a D’Annunzio, che suggeriscono un confronto anche sul piano letterario.
INFINITO LEOPARDI
Dalla trama dei colori, dalle suggestioni delle sfumature e delle prospettive, dai giochi di forma e di luce, dagli accostamenti linguistici, emerge in questo percorso tutta l’eterna classicità di un Leopardi acuto osservatore e conoscitore dell’animo umano, soprattutto nella seconda parte, dove i riferimenti al concetto d’infinito non richiamano direttamente il recanatese, ma vi conducono invariabilmente, a ribadire quanto profondamente radicato nelle dinamiche umane fosse il suo ragionamento. Che, all’infinito, ritorna.
‒ Niccolò Lucarelli
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