Il calcio, le donne e la pittura di Ángel Zárraga

Un focus sul pittore Ángel Zárraga, il primo ad aver dedicato alle donne calciatrici una serie di opere pittoriche entrate nella Storia.

Per i greci le Grazie erano figlie di Zeus ed Eurinome, erano tre e rappresentavano lo Splendore, la Gioia e la Prosperità. Si chiamavano Aglaia, Eufrosine e Talia. Per Ángel Zárraga (Durango, 1886 – Città del Messico, 1946), pittore messicano trapiantato in Francia, si chiamano Jeannette Ivanoff, Henriette Comte, Théresè Renaut. E sono calciatrici.
Las futbolistas, così si chiama l’olio su tela, conservato oggi al Museo d’Arte Moderna di Città del Messico, considerato la prima opera d’arte dedicata al calcio femminile. Tre donne, scarpini ai piedi e calzettoni sui polpacci, dietro di loro un campo da calcio, sullo sfondo case e la ciminiera di una fabbrica. Sulle spalle una casacca arancione, sul petto la S delle Sportives de Paris, la squadra che si è appena diplomata campione di Francia.
Siamo nell’aprile del 1922. Le calciatrici parigine hanno sconfitto per 2 a 0 la squadra di Reims nella finale di campionato, la Division 1 Féminine, fondata dalla pioniera Alice Milliat nel 1918. Durerà fino al 1932, quando la competizione viene proibita, per essere reintrodotta solo negli Anni Settanta. Nel numero del 2 aprile di quell’anno, La Femme Sportive, l’organo mensile della federazione, pubblicava in prima pagina un editoriale della direttrice del giornale La Française, Jane Misme, dal titolo: I diritti della donna e lo sport. Si sottolineava come per la prima volta due grandi correnti d’azione femminista cominciassero a incontrarsi: da un lato il movimento di rivendicazione dei diritti civili e politici, dall’altro il movimento sportivo. La donna, “confinata in casa e costretta a lasciare al padre, al fratello e al marito la cura dei suoi bisogni”, si era vista indebolire “la mente e il corpo”. La società del tempo “aveva trascurato il desiderio di ripristinare la sua forza fisica, atrofizzata da una lunga vita sedentaria” e così, attraverso lo sport, “il cervello e i muscoli femminili ritroveranno insieme il loro vigore”.

Ángel Zárraga, Futbolistas, 1931. Collezione privata

Ángel Zárraga, Futbolistas, 1931. Collezione privata

IVANOFF E ZÁRRAGA

Gambe e sinapsi, bicipiti e nervi, sport e diritti. Che passano anche su un campo di calcio. Come quello dello Stade Elisabeth, dove davanti al Ministro dell’Igiene e della Prevenzione Sociale le Sportives de Paris sbaragliano 5 a 0 le malcapitate Ruche Sportive. In attacco, con la maglia orange, c’è una delle tre grazie del quadro: Jeannette Ivanoff, in campo con il nome del marito-pittore, Zárraga. I suoi esordi sono da ballerina ritmica, poi la carriera da calciatrice.
I due si erano conosciuti a Parigi nel primo dopoguerra, in occasione della rappresentazione teatrale di Antonio e Cleopatra di Shakespeare, per cui Zárraga doveva curare la scenografia. Messicano di Durango, figlio di un chirurgo, studiò anche lui medicina prima di abbandonare il bisturi per il pennello. Amico di Diego Rivera, partì da istanze cubiste fino a sposare quel “ritorno all’ordine” che investì l’Europa dopo la Grande Guerra. Lui riuscì a fondere le due componenti: da un lato i suoi quadri segnano un ritorno al realismo, alla compostezza quasi classica, al tema spesso religioso, dall’altro si concentrano su temi tipici del Futurismo come la vita urbana e lo sport.

LE OPERE

Rugby ma soprattutto calcio, di cui Zárraga detiene tre primati indiscussi. Il più importante è quello del 1927, El joven futbolista, quando per la prima volta fu rappresentato un calciatore nero. Il secondo è del 1931 e riguarda la prima natura morta sul calcio della storia: Dimanche, un tavolo con sopra una cassetta di ricordi, una maglietta bianco rossa, il giornale L’Echo des Sports e un pallone. L’ultimo, quello di cui parlavamo in apertura, è il più antico.
Las futbolistas è del 1922 ed è un vero e proprio atto di svolta, nello sport come nella società. Quello che risalta nella pittura di Zárraga sono le gambe delle tre donne, forti, vigorose, piene di muscoli. Un dettaglio che faceva scandalo, che stonava nella concezione femminile degli Anni Venti. Le Petit Journal Illustré del 1923 si chiedeva infatti se “la fragilità femminile” si potesse coniugare con sport violenti e fisici come il calcio, mentre all’interno si citava lo studio di una ricercatrice medica, che aveva messo in luce come “dopo sei mesi di sport, il perimetro di braccia, al livello dei bicipiti, di una giovane di 22 anni, passasse da 0.29m a 0.31m”. Aumento di volume, resistenza alla fatica, cambiamenti nella respirazione: lo sport stava ricreando il genere femminile, livellando le differenze fisiche. Accuse che non sembrano poi così lontane da quelle che, durante i Mondiali di Francia, molti giornalisti italiani avevano rivolto alle calciatrici (“sono brutte, mi fanno schifo”, ha detto il telecronista Sergio Vessicchio; “Metà delle calciatrici sono lesbiche”, secondo Alessandro Cecchi Paone).

Ángel Zárraga, in un disegno pubblicato su Le Populaire, 1925

Ángel Zárraga, in un disegno pubblicato su Le Populaire, 1925

UNA MOSSA POLITICA

Ángel Zárraga, nei suoi dipinti, compie allora una precisa mossa politica. Alle tre calciatrici disegna tratti gentili nel volto, acconciature curate, all’orecchio della moglie mette un orecchino, al polso della Renaut un orologio. Si ottiene così un’immagine nuova della donna, diversa, moderna, fuori dagli schemi. Lo sottolinea anche il giornale dell’epoca, Le Miroir des Sports, che dedica a Zárraga un’intera pagina, definendolo “il primo grande pittore del football”, capace di dare allo sport “una bella espressione di gioia di vivere”. A lui il merito di aver introdotto nell’esistenza della donna un elemento e un aspetto nuovi, ma soprattutto di aver stabilito la separazione tra lo sportivo e la sportiva.
Il modo in cui i soggetti dei suoi quadri abbracciano il pallone è quasi ovunque lo stesso, cambia però la luce che ne traspare. Ne La futbolista rubia è un abbraccio materno. Nel ritratto Ramon Navarro, il cugino attore che recitò in Ben Hur, la sfera sembra intrappolata, pronta a essere scagliata, lo sguardo del giovane è deciso, il fisico tirato. Dello stesso periodo è invece La futbolista morena, dove la calciatrice porta ancora orecchini rossi, i capelli corti, simbolo di emancipazione femminile, guance e labbra truccate.
Torniamo alle tre Grazie calcistiche. I tre corpi delle calciatrici sono diversi dalla stessa triade che Zárraga offre nella versione maschile, ma ugualmente eroici, scultorei, autoritari. La stessa mimica è importante: Ivanoff, che era capitana della squadra, prende la mano della compagna e la porta a sé, mentre parlano faccia a faccia. In primo piano Renaut è l’unica a guardare lo spettatore, il braccio sinistro appoggiato al fianco, lo sguardo sicuro, quasi spavaldo. Che rompe lo schermo e sembra dire: “Guardateci, siamo le campionesse di Francia, siamo donne e calciatrici, abbiamo vinto e lo continueremo a fare”. Ci sono la Francia rivoluzionaria e la Parigi che sta cambiando pelle nei dipinti del messicano Zárraga. C’è la donna finalmente libera di decidere dove orientare la sua libertà. Non più relegata al letto, alla casa. Ma pronta a conquistare lo spazio che desidera. Anche un campo da calcio.

‒ Lamberto Rinaldi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Lamberto Rinaldi

Lamberto Rinaldi

Classe 1994, romano, giornalista freelance. In tasca una maturità classica, una laurea magistrale in Filologia Moderna e un Master in Editoria, Giornalismo e Management Culturale all'Università di Roma La Sapienza. Dirige “Il Catenaccio”, web magazine di approfondimento sportivo, scrive di…

Scopri di più