Campo Urbano a Como. Cinquant’anni dopo
Due giorni di seminario tornano su una mostra estemporanea allestita nel centro di Como il 21 settembre 1969, ideata e curata da Luciano Caramel. Nel 2019, a Villa Olmo, si sono avvicendati storici dell’arte e curatori per parlarne. Ma soprattutto alcuni dei protagonisti.
Il 21 settembre 1969 è una tiepida, soleggiata domenica mattina. Il centro storico di Como è invaso da dozzine di artisti e installazioni. Campo Urbano si manifesta come una mostra interventista, estemporanea, coordinata da Luciano Caramel. Un evento che, da mattina a sera, vede avvicendarsi e intervenire, in diverse vie adiacenti e in piazza del Duomo, quarantadue artisti: Edilio Alpini, Enrico Baj, Thereza Bento, Valentina Berardinone, Ermanno Besozzi, Carlo Bonfà, Inse Bonstrat, Davide Boriani, Annarosa Cotta, Giuseppe Chiari, Enrico Collina, Giuliano Collina, Gianni Colombo, Dadamaino, Vincenzo Dazzi, Gabriele De Vecchi, Antonio Dias, Mario Di Salvo, Luciano Fabro, Carlo Ferrario, Giuseppe Giardina, Ugo La Pietra, Renato Maestri, Libico Maraja, Attilio Marcolli, Armando Marrocco, Livio Marzot, Paolo Minoli, Bruno Molli, Bruno Munari, Giulio Paolini, Ico Parisi, Franca Sacchi, Paolo Scheggi, Gianni Emilio Simonetti, Davide Sprengel, Francesco Somaini, Tommaso Trini, Grazia Varisco, Giacomo Veri e infine Arnaldo Zanfrini. Gianni Pettena si insinuerà all’ultimo, realizzando il lavoro più fulmineo e di più fresco sovvertimento dello spazio storico collettivo a disposizione.
Da Bruno Munari (con Visualizzazione dell’Aria di Piazza Duomo) a Gianni Pettena (con i panni stesi di Laundry), da Ugo La Pietra (Copro una Strada e ne Faccio un’Altra) a Grazia Varisco (Dilatazione Spazio-temporale di un Percorso) fino a Marcia Funebre o Della Geometria (performance ideata da Franca Sacchi, Paolo Scheggi, Elena Vicini e Giampiero Bianchi), ogni lavoro è autoprodotto dagli artisti. La gente di quella che allora era una piccola città di provincia è diffidente. Si avvicinano solo i bambini, gli adulti spesso contestano la rottura dell’atmosfera domenicale, di un’aria tranquilla che si trasforma in aria di festa, di cambiamento.
2019. VILLA OLMO
Cinquant’anni dopo, sempre a Como, non più in piazza del Duomo ma nei saloni di Villa Olmo, Luca Cerizza e Zasha Colah, con il supporto di Fondazione Ratti, guidano il convegno Campo Umano, con l’intento di rivitalizzare e rendere omaggio a Campo Urbano: fra il Tricolore nel Colpo di Stato di Baj e la documentazione fotografica di Ugo Mulas, così come gli scatti di Mussat Sartor, tutti gli elementi che hanno caratterizzato e reso Campo Urbano un modello, un formato, nel 2019 sono diventati punto di riferimento di una geografia della storia che ha riportato la mostra all’interno di un contesto di partecipazione e concitazione collettiva. Oggi difficilmente – neppure a livello retroattivo – riproducibile.
Quanto agli interventi: mentre Robert Lumley ha tracciato il contesto sociale e politico italiano di quegli anni, Alessandra Acocella ha definito Campo Urbano una sorta di innesco nei confronti di manifestazioni quali quella avvenuta a Zafferana Etnea nel 1970. Sebbene Lumley si sia domandato più volte se l’aspetto giocoso di Campo Urbano avesse presentito i giochi difficili che la strada e le piazze avrebbero riservato a quella generazione di artisti, i reali contorni di una nuova stagione sono emersi in perfetta trasparenza nell’intervento di Alessandra Pioselli, che ha contestualizzato visioni e immaginazioni dello spazio e della collettività, fra centro storico e città storica.
Il giorno successivo si sono alternati gli speech di Zasha Colah, Hou Hanru e Roberto Pinto, che hanno presentato diversi esempi di interventi permanenti e non negli spazi pubblici di varie aree continentali. Ma il reale fulcro rievocativo di Campo Umano è stato l’avvicendarsi di cinque fra gli artisti selezionati e accolti da Luciano Caramel nel 1969: Giuliano Collina, Mario Di Salvo, Ugo La Pietra, Gianni Pettena e Grazia Varisco.
Artisti che hanno ristabilito, attraverso le loro testimonianze, l’ordine ludico e non previsionale, non preterintenzionale, della mostra, voluta, cercata per essere la chiave di accesso a un linguaggio urbano trasformato per escludere la contemporaneità dai luoghi storici e di vissuto giornaliero.
CONCLUSIONI
Questo intervento è risultato il vero snodo di un convegno che, nonostante al termine abbia proposto anche una tavola rotonda (con artisti e curatori del calibro di Massimo Bartolini, Cecilia Guida, Francesco Jodice e Margherita Moscardini), non è stato esente da problematicità. Nel 1969, infatti, Campo Urbano ha incarnato una risposta alle necessità della collettività, interpretate da artisti d’avanguardia che hanno vissuto un giorno, unico, di condivisione ed “eccedenza delle forze in campo” (Marco Scotini). Un teatro di strada che ancora oggi, seppur in parte, non è asservito al sistema di obsolescenze programmate o agli scenari speculativi pretesi da un possibile futuro. Da qualsiasi futuro.
Qual è dunque il risultato di queste due giornate di inquadramento e di estensione tematica, sviluppate a partire dall’episodio di Campo Urbano? Quale nuova traccia documentale si aggiunge a una mostra che, impossibilitata a reiterarsi nel tempo, sembra sempre rileggere a posteriori quel che criticamente accadde una domenica del 1969? E quanto le presenze di ricerca centrali di queste giornate di studio, come quella di Francesco Tedeschi, interprete indiretto del pensiero di Luciano Caramel, hanno realmente legittimato la presenza, nel panorama italiano, dal 1969 a oggi, dell’umanità di un’orchestrazione politica, così etimologicamente, espressamente cittadina?
Forse sarà solo la vita di ogni giorno (a seguire) ad assegnare il giusto carattere eversivo o riformistico a un progetto che, nella sua rievocazione, ha provocato con troppa eleganza, con eccessiva speculazione la tanto cercata e temuta partecipazione collettiva.
‒ Ginevra Bria
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