Il business delle giostre. L’editoriale di Fabio Severino
I parchi a tema offrono esperienze sempre più immersive, servendosi delle tecnologie digitali. Perché il mondo della cultura non si immagina qualcosa di simile?
Dove c’è il business, si sa, c’è sperimentazione, rischio, ricerca, perché il migliore vince, il migliore viene premiato. I parchi giochi sono un grande business da sempre. Le cosiddette giostre. Sulle quali Disney ha creato i parchi a tema, popolati dai personaggi dei suoi film e dei suoi libri. Sono milionarie industrie del divertimento. Tanto per dare qualche numero, Disneyland Paris, con 15mila dipendenti, ha quasi 10 milioni di visitatori l’anno, che pagano un biglietto base di 87 euro ciascuno, facendo fatturare 1 miliardo di euro l’anno.
Questo segmento d’offerta quindi è ben incentivato a sperimentare e inventare sempre cose nuove: si rinnova. Sebbene gli utenti primari, bambini e ragazzi, crescano e ve ne siano sempre di nuovi, è anche un pubblico tipico di repeters. Il Colosseo magari si vede una volta sola, a Disneyland un bambino ci vuole tornare più volte possibile fino a quando non diventa adulto (e a volta non si ferma neanche lì).
La nuova frontiera di questi parchi oggi non è più costruire montagne russe all’interno di artistiche scenografie di cartapesta (che siano i personaggi Disney o quelli cinematografici in genere, Harry Potter ad esempio). Oggi si creano realtà immersive digitali. Ora come allora si entra sempre dentro grandi hangar, ci si siede dentro delle “carrozze” con 4/6/8 posti, ma poi non si va da nessuna parte. Non ci sono più lunghi binari che sballottano a destra e sinistra e pupazzi che spuntano all’improvviso. Qui – cala sempre il buio – si accendono filmati 3D e a 360°, abbinati a odori e vapori che rendono realistiche le cose che si vedono. Ma per fare l’esperienza immersiva e multisensoriale, le carrozze si muovono anche su se stesse: rollano e beccheggiano. Il divertimento è assicurato, e il pubblico pure.
Gli Universal Studios di Los Angeles, che hanno abbandonato la funzione di set cinematografici, sono oggi una decina di giostre, che durano poco più di qualche minuto ciascuno, ma con interminabili file di attesa per salirci. Il biglietto per entrare è di 109 dollari, più altri 70 se si vuole l’express lane.
Sarebbe meraviglioso inventarsi qualcosa del genere anche con la cultura. Marco Balich ci ha provato col suo Michelangelo a Roma. Interessante, ma siamo ben lontani da quella capacità immersiva. Si potrebbero raccontare il passato, le antiche civiltà, le guerre, le esplorazioni, i grandi momenti storici. La vita degli artisti, alcuni passaggi che ne caratterizzarono la produzione creativa e hanno cambiato il mondo. Nel frattempo Cinecittà potrebbe abbandonare la velleità di essere un set (solo perché anacronistica) e diventare un parco a tema unico al mondo: Gangs of New York, Ben-Hur, U-Boot, Fellini…
‒ Fabio Severino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51
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