An expansive view. L’editoriale di Kosme de Barañano

Professore ordinario di storia dell’arte e curatore – portava la sua firma la mostra da poco conclusa alle Gallerie dell’Accademia di Venezia a Georg Baselitz ‒ Kosme de Barañano si interroga sul senso delle mostre oggi.

Ogni mostra deve avere un senso e una ragione. Negli ultimi vent’anni viviamo in un continuum di eventi espositivi. Cosa dobbiamo esigere da una mostra che costa oggi alle istituzioni pubbliche un’enorme quantità di denaro? Credo che la mostra di Baselitz da me curata alle Gallerie dell’Accademia di Venezia abbia apportato una visione dell’artista diversa e ancorata alla storia dell’arte. Tuttavia, un altro evento espositivo eccellente è passato inosservato nonostante l’appoggio di una istituzione come il MoMA: si tratta di Lincoln Kirstein’s Modern, conclusa il 15 giugno.
Lincoln Kirstein fu l’erede della fortuna dei grandi magazzini Filene di Boston. Ancora studente a Harvard, nel 1927 fondò insieme a Varian Fry la rivista Hound & Horn, sulle pagine della quale invitò a scrivere Ezra Pound, Marianne Moore e Gertrude Stein. Dopo la laurea nel 1930, si unì al Junior Committee del MoMA di New York, appena fondato da Alfred H. Barr Jr., altro amico di Harvard, con personalità del calibro di Philip Johnson, Nelson Rockefeller, Elizabeth “Betty” Bliss. Più tardi a New York si convertì in figura essenziale per la vita delle istituzioni culturali della città, esercitando una certa influenza nel campo della danza, della fotografia, della pittura, della scenografia teatrale, della letteratura e dell’architettura.

Oggi è conosciuto soprattutto per aver fondato la School of American Ballet e il New York City Ballet con George Balanchine. Nel 1939, dieci anni dopo la nascita del museo, regalò al MoMA il suo archivio personale comprendente oltre 5mila tra libri, disegni e documenti relativi al mondo della danza. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu membro della commissione incaricata di recuperare l’arte rubata dai nazisti in Europa. Nel 1965 manifestò in favore dei diritti civili in Alabama. Fu un uomo ricco ma bohémien, pragmatico ed edonista, uno spirito essenzialmente liberale. Colpito da depressione maniaca, Kirstein fu internato per la prima volta nel 1967. In vita donò molte delle sue acquisizioni a musei come il Whitney, il Metropolitan e alla New York Pubic Library.
La mostra, a cura di Samantha Friedman e Jodi Hauptman, esamina l’impatto di Kirtstein sulla cultura degli Stati Uniti attraverso circa duecento opere d’arte esposte insieme a documenti d’archivio del MoMA. Le curatrici lo descrivono come “un connettore chiave e instancabile”, che plasmò e appoggiò artisti e istituzioni. La mostra analizza anche il suo appoggio alla danza, che considerava la più completa delle arti, punto di partenza della sua ferma convinzione che dovesse essere l’asse centrale delle attività del MoMA. Le curatrici si riferiscono alla sua “expansive view of what art could be”. È un’esposizione che dimostra che il talento individuale e la generosità sono fondamentali nella vita dell’arte, a partire dal primo Rinascimento.
Non ti preoccupare per nulla, Lincoln”, scriverà Balanchine a Kirstein quasi vent’anni dopo il primo balletto a New York. “Tutto va bene”. Non tutto va bene quando una mostra come questa non ha avuto seguito né presso la stampa né presso il pubblico. Continuano a esserci buoni curators, ma la expansive view si limita sempre più al commerciale e al superfluo.

Kosme de Barañano
(traduzione di Federica Lonati)

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #18

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