Mostri e arte. L’editoriale di Marcello Faletra
Quale posto occupa il “mostruoso” nella storia dell’arte? E con quali conseguenze?
I mostri d’oggi ereditano da King Kong – gigantesca figura sottratta alla giungla – la vocazione alla spettacolarità. Le mitologie del passato li rappresentavano come messaggeri di potenze soprannaturali, ma anche come guardiani del caos. Mentre i mostri della contemporaneità mettono in scena la loro vocazione alla rappresentazione. Già dagli Anni Ottanta si è vista una decisiva rinascita del tema del mostruoso nell’arte. Matthew Barney metteva in scena le sue androginie post-organiche nel ciclo Cremaster. E Joel-Peter Witkin elaborava con la fotografia un’epopea dell’estetica queer, dove esseri bisessuali, composti teatralmente in tableau vivant, occupano l’intera scena dell’immagine.
Il riemergere della figura dell’androgino e dell’ermafrodito nell’arte contemporanea andrebbe letto alla luce della sua lunga storia. “Che cos’è mai quel ragazzo di Malcolm? Non nacque egli donna? Non temere Macbeth: nessun uomo nato donna avrà mai potere di sopraffarti”. “‘Dimmi la verità’, domandò con voce sorda e alterata. ‘Sei una donna?’. Zambinella cadde in ginocchio, e rispose solo abbassando la testa”. Da Shakespeare a Balzac, fino alle figure di mutanti d’oggi, l’indiscernibilità dei corpi non ha smesso di sedurre l’immaginazione e di alimentare la storia della paura. L’esperienza surrealista rovescerà la visione dell’androgino concepita dagli esoterismi di fine Ottocento, introducendovi elementi di crudeltà, dove il mostruoso si identificherà in figure sado-maso, in libere associazioni, che porranno il problema della genesi della soggettività.
“Il mostro è una soglia concettuale e sociale, una figura attorno alla quale prendono corpo saperi. E poteri”.
La crescente rappresentazione del mostro nell’arte contemporanea ha posto diversi problemi d’interpretazione. Primo fra tutti, quello relativo al rapporto tra modello e anti-modello. Per certi aspetti, l’androgino e l’ermafrodito sono una sfida al pensiero, alla scienza e all’arte. Come le maschere delle Gorgoni, sintetizzano i contrari; sono il non senso (il difforme) nel cuore del senso (forma). Ma, se li osserviamo attentamente, ci interrogano sulla nostra apparente sicurezza: a volte sono grotteschi, provocano il riso e tuttavia, come in uno specchio, mostrano la frontiera dell’identità. La parola ‘mostro’ non corrisponde ad alcun concetto che lo possa definire. E la sua definizione prende corpo solo a partire dal termine che gli si oppone: la parola ‘normale’, che fa diventare la parola ‘mostro’ l’immaginario rovesciato del termine positivo.
Il mostro è insomma una soglia concettuale e sociale, una figura attorno alla quale prendono corpo saperi e poteri. Sfuggendo alla legge, il mostro produce uno choc, ma anche un voyeurismo cinico, che dalla fine del XIX secolo trasformerà creature “amorfe” in occasioni di spettacolo, come accade nel film di Marco Ferreri La donna scimmia.
‒ Marcello Faletra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #51
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