La seconda edizione del Faena Festival a Miami: dal Buddha di Zhang Huan all’ultima cena
La seconda edizione del Faena Festival è ricca di fuochi d’artificio. Ma non è all’altezza della seconda. Ecco le nostre impressioni mentre è in corso l’art week di Art Basel Miami Beach
Che la prima edizione sia sempre più interessante ed eccitante della seconda è forse una dura legge delle manifestazioni artistiche, ma una legge a cui non ci si abitua né ci si rassegna mai. Così quest’anno, la seconda edizione del Faena Festival, che lunedì sera ha aperto la Art Week a Miami Beach, sembra un po’ sottotono rispetto allo sfavillio dell’anno scorso. Il festival, che si svolge tra il forum, l’hotel e la spiaggia dell’omonimo distretto creato dall’eccentrico imprenditore argentino, Alan Faena, nasce con l’idea di coinvolgere la città in una programmazione artistica non commerciale, durante una settimana in cui Miami è invasa da eventi pensati per un pubblico di collezionisti.
L’ULTIMA CENA
Per questo 2019 è The Last Supper il titolo scelto dalla curatrice Zoe Lukovper una settimana di eventi in cui, rispetto alla prima edizione, spariscono le performance a favore di conferenze e dibattiti che riempiono il cartellone, alternandosi a proiezioni di opere di videoarte, sessioni di meditazione e yoga. Il titolo e il tema del festival vogliono essere un’esplorazione delle connessioni tra cibo e spiritualità, dove il cibo rappresenta abbondanza, piacere, indulgenza e la spiritualità è sacrificio, astinenza, contemplazione. Interpretano il tema in maniera letterale le opere di Gabriel Chaileinstallate nel giardino dell’hotel. Per questa commissione, l’artista argentino ha creato la serieRenacimiento, figure in terracotta, a metà tra totem e macchine. Le sculture funzionano anche come forni e giovedì, come evento centrale del festival, artista e opere saranno protagonisti di una cerimonia di cottura del pane. A rappresentare il lato alimentare dello spettro spiritualità-cibo, durante la serata d’apertura, è stata servita una birra creata per l’occasione dall’artista nigeriano Emeka Ogbohe chiamata (con nome forse non troppo benaugurale) come quest’edizione del festival, The Last Supper. Ispirata agli ingredienti locali della Florida, la birra-opera d’arte vuole creare un’esperienza gustativa che sia anche esperienza esistenziale, sulla linea di intersezione tra localismo e globalizzazione. La creazione di questa birra scura e saporita (bella l’idea come anche l’etichetta, ma sulla qualità della birra c’è da lavorare) si inserisce in un lavoro di ricerca di Ogboh, che vive e lavora in Germania, sull’esperienza migratoria africana in Europa.
LE OPERE “SPIRITUALI”
Più orientate sul lato spiritualità sono invece le opere di Myrlande Constant, installate tra le colonne dorate della hall dell’albergo: una serie di bandiere vodou finemente decorate, dal titolo Rasanbleman soupe tout eskòt yo. In parte commissionate all’artista per il festival, le bandiere sono un poco opera d’arte un poco oggetti cerimoniali e riproducono scene tradizionali della cultura haitiana. Utilizzando ricami e paillette che riflettono e diffondono la luce, l’artista crea una sorta di disseminazione della spiritualità attraverso lo spazio fisico. Ma è sulla spiaggia davanti all’hotel che la spiritualità si fa concreta, esprimendosi in simulacri di immediata riconoscibilità. A pochi passi dalla battigia, sulla granulosa sabbia di Miami Beach, si fronteggiano i due grandi buddha creati da Zhang Huan, uno è una figura in alluminio, brillante, riflettente, lucida; l’altro è una figura creata da 20 tonnellate di cenere d’incenso raccolta da templi buddisti di Shanghai. Lunedì, il momento più intenso della serata di apertura è stato lo smascheramento del budda di incenso: all’inizio della serata il volto e la mano destra del budda erano coperti da maschere di metallo, sorrette da una struttura in legno. Poi, mentre il pubblico si raccoglieva intorno alla scultura, come fedeli intorno a una statua sacra, le maschere si sono sollevate, svelando una figura effimera, esposta al deterioramento.
IL BUDDA DI MIAMI
Il buddha d’argento e il buddha di polvere sono rimasti l’uno davanti all’altro: la permanenza e la transitorietà che si confrontano. La cerimonia è proseguita con canti e balli creoli sulla spiaggia. Più in là, spuntava tra le onde del mare, uno schermo su cui passavano (e continueranno a passare per il resto della settimana) le opere di Ana Mendieta, Janine Antoni, Osìas Yanov & Lulo Demarco, Jamilah Sabur, Jillian Mayer. Intanto nel forum, dall’altro lato della strada, il pubblico, scalzo, camminava sulla terra fredda e scura dell’installazione commissionata per l’occasione a Sophia Al-Maria: un cerchio di terra creato nell’anfiteatro del forum, con al centro uno schermo rotondo, come un portale dimensionale, su cui passano immagini video astratte. L’opera è parte della serie The Limerent Objectche immagina rituali e miti di una civiltà post-umana. Al piano di sopra, un video di The Propeller Group racconta i riti funebri del Sud del mondo. Nonostante un’inaugurazione non all’altezza di quella della prima edizione, la serata è stata partecipatissima e, almeno per ora, il festival mantiene la promessa di coinvolgere la città in un momento di festa e partecipazione pubblica, all’insegna di un’arte vestita di glamour che fa il fascino e la fortuna di Miami Beach.
–Maurita Cardone
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