Il gusto neoclassico di Luigi Valadier. A Roma
La preziosa mostra allestita a Villa Borghese getta uno sguardo nella raffinata officina del celebre argentiere Luigi Valadier.
Il civico 89 di Via del Babuino è un portone massiccio e anonimo incastonato tra specchianti vetrine di abiti alla moda. Qui, in una di quelle epoche remote consegnate definitivamente alla memoria erudita dei libri di storia, era ubicato il rinomato Negozio Valadier. Era questo, però, qualcosa di più che un negozio: una manifattura, un’officina, forse la più importante nella Roma del Settecento, visitata ‒ quasi una tappa obbligata ‒ dai facoltosi viatori del Grand Tour. Suoi committenti erano i principi Borghese, i principi Chigi, Papa Pio VI Braschi, l’alta aristocrazia di mezza Europa. Vi si lavoravano con sapienza l’argento, l’oro, il bronzo, il marmo, le pietre preziose per realizzare gioielli, arredi sacri e secolari, copie seriali dalla statuaria antica. Questa intensa attività fabbrile faceva capo a Luigi Valadier (Roma, 1726-1785), artista, artigiano, imprenditore, figlio di Andrea, un argentiere provenzale trasferitosi a Roma.
LA MOSTRA
La mostra che gli viene oggi dedicata lo riporta in uno dei luoghi che gli furono familiari, che egli contribuì a impreziosire con la sua opera: la Villa Borghese fuori Porta Pinciana. Disseminate tra i marmi del Bernini e del Canova, tra le statue della Roma imperiale e repubblicana, nelle sale della splendida pinacoteca rinascimentale troviamo erme in bronzo e alabastro, colonne in marmo e argento sbalzato, tavoli in porfido e legno intagliato, disegni preparatori e illustrativi a inchiostro e acquerello, candelieri in bronzo dorato, servizi liturgici in argento cesellato, busti, reliquiari e tanti altri oggetti preziosi. Senza dubbio, lo straordinario ambiente archeologico romano ha contribuito non poco alla diffusione di quel gusto neoclassico che vediamo aleggiare tra i preziosi manufatti e che ebbe i suoi illustri corifei in Winckelmann, in Piranesi, in Canova. Si tentava un ritorno all’antico, mondato però da ogni primitivismo: un antico spettacolare e sensuoso, covato nel sogno artificioso di una mitica età dell’oro che si intendeva attualizzare con lo splendore dei materiali, con la purezza delle forme, con le policromie abbaglianti. L’arte neoclassica, quindi, come epifania della bellezza, come teofania laica, come lussuoso ricettacolo dell’invisibile dove l’estetica si univa alla mistica in un abbraccio ineffabile.
L’EPILOGO
Nell’anno 1785, nel pieno fervore delle attività, mentre attendeva a numerose commissioni, tra cui la fusione della grande campana della Basilica di San Pietro, Luigi Valadier si tolse la vita gettandosi nel Tevere nei paraggi del porto di Ripa Grande. Gli successe il figlio Giuseppe, il grande architetto a cui Roma deve gran parte del suo sembiante neoclassico. Ma qui comincia un’altra storia.
‒ Luigi Capano
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