Piove sul bagnato. L’editoriale di Renato Barilli
Il critico bolognese Renato Barilli si interroga sulla dilagante presenza della chiacchiera e dell’apparenza nella storia dell’arte. A cominciare da Leonardo.
Mi trovo a vivere una vecchiaia non certo serena e tranquilla, ma al contrario tormentata da crucci su tutti i vari fronti della mia passata attività. Come critico militante, ho la mia guerra contro i “curators”, che non si occupano di dare giudizi di valore e pronostici sull’arte dei nostri giorni, ma solo di affrontare problemi organizzativi, budgetari, e soprattutto di tenere contatti rispettosi con i loro pari grado o più altolocati.
Negli ultimi anni della mia carriera universitaria, autorizzato dall’aver assunto un insegnamento come “Fenomenologia degli stili”, privo di condizionamenti temporali, mi ero avventurato anche nella storia dell’arte, ma pure da questa parte non mi è venuto alcun riscontro. La chiacchiera, l’apparenza, il “far piovere sul bagnato” si sono impadroniti anche di questo settore, si fa tanto chiasso pubblicitario sulle mostre, ma senza approfittarne per rivedere davvero i conti con la storia dell’arte.
Ho già menzionato il caso di Leonardo, che attualmente riempie i canali mediatici per il suo quinto centenario dalla morte, con mostre da tutte le parti, ma nessuno ha raccolto la mia ammonizione di togliere dalle sue opere sicure quanto meno la Belle Ferronière, di cui non c’è notizia ai suoi tempi, oltre al fatto di contraddire in pieno tutti i caratteri stilistici che di solito si attribuiscono al genio di Vinci. Si parla tanto di Caravaggio, ma resta intatto il buco nero riguardante i suoi primi anni di permanenza a Roma, dove dipinge alcune tele di straordinaria bellezza, ma di segno contrario al periodo successivo, immerso nell’oscurità. Anch’io, a dire il vero, non ho risolto quel nodo oscuro, ma almeno ho emesso un grido d’allarme, un avviso ai naviganti, che però continuano beati a ricicciare tutti i luoghi comuni su questo artista.
“Il tempo non è affatto galantuomo, lo diceva già Dante che non si può vivere di glorie passate, se non vi si ‘appone’ qualche nuova testimonianza. Ma se a uno sono stati tolti i mezzi di farsi vivo, come può difendersi?”
Infine, si parla tanto pure di de Chirico, ma si dimentica del tutto un codicillo che mezzo secolo fa io avevo apposto alla sua opera, come di un industrioso rivisitatore di ogni stanza del museo, così da giustificare le sue fasi barocche e sfacciatamente naturaliste, dato che appunto in un museo tradizionale ci stanno anche quelle. La nave di Teseo ha dato alle stampe una riedizione di quel superbo testo dechirichiano che è Ebdomero, ma di sicuro sarà del tutto dimenticata la mia lettura proprio dei primi Settanta (Tra presenza e assenza, Bompiani, 1974) in cui l’ho messo alla testa del postmoderno in tutte le sue declinazioni.
Il tempo non è affatto galantuomo, lo diceva già Dante che non si può vivere di glorie passate, se non vi si “appone” qualche nuova testimonianza. Ma se a uno sono stati tolti i mezzi di farsi vivo, come può difendersi? Forse questi articoli su Artribune un modesto effetto possono avercelo.
‒ Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #52
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