L’arte rotta (I)
Prende il via la nuova rubrica firmata da Christian Caliandro. Si parla di sistema e del suo rifiuto, ma anche della difficoltà ‒ e necessità – della catarsi.
“Chi non puzza di bomba cotta e di vertigine compressa non è degno di essere vivo” (Antonin Artaud, Van Gogh o il suicidato della società, 1947).
Riflettere sull’indipendenza, sul concetto di indipendenza. Da che cosa? Uno può dirsi indipendente quando è libero – ma da che cosa? Dal sistema. E che cosa è il sistema? È il sistema che decide come dobbiamo comportarci, come dobbiamo pensare, che opere dobbiamo fare e come è opportuno raccontarle… che ci dice quali discorsi fare, e quali non fare; che cosa è intelligente e brillante, e che cosa non lo è; che cosa è raffinato e up-to-date, e che cosa non lo è; che cosa è nuovo, e che cosa non lo è; che cosa è bello e che cosa è brutto, che cosa va bene e che cosa fa schifo, che cosa è permesso e che cosa è vietato. Questo sistema dunque va molto più a fondo del mercato – “che cosa si vende e che cosa non si vende” ‒, riguarda le nostre scelte, i nostri orientamenti, i nostri gusti in campo artistico e culturale – e nella vita – ed è così potente e pervasivo proprio perché la maggior parte di noi si rifiuta di considerarlo tale (“il sistema non esiste”).
Fin quando la nostra paura di apparire naïf, inadeguati, provinciali, di essere e sentirci esclusi, sarà così forte – l’arte continuerà a essere superficiale e scadente, come è in gran parte oggi. Perché dipende da questo, proprio e solo da questo.
E non importa quante idee carine e quante trovate divertenti vi facciate venire in mente, e riusciate a realizzare: è una questione di approccio, di disposizione d’animo. E questa disposizione prevede una ribellione pervicace, strutturale a ogni minima sollecitazione del sistema: un sistema che, appunto, non riguarda il “mercato”, e neanche a un certo punto le “mostre”, i “premi”, le “residenze”, i “riconoscimenti”, la “carriera” – ma è ancora più forte e vasto – riguarda ogni singolo aspetto della vita, ogni risposta data, ogni reazione, ogni direzione, ogni libro letto, ogni opera e film visti, ogni pensiero pensato… è pesante? È difficile? È faticoso? È ingrato? Certo. Per questo è così improbo starci dietro – e perseguire l’indipendenza. Perché, come ti giri, c’è il rischio di trovarti con le spalle al muro, di non essere più capace di andare avanti, o peggio ancora – di smarrire la coerenza, la fedeltà a te stesso e ai tuoi progetti – che poi è decisamente il valore più importante di tutti. Molto più semplice, in effetti, voltarsi dall’altra parte, fare finta di niente: tanto una scusa si trova sempre, nessuno pretende nulla da te – e tantomeno che tu conservi questa stupida coerenza, questa “indipendenza”. A nessuno frega niente, in realtà, e comunque nessuno lo capirà mai.
Forse giusto qualcuno – coloro che ti amano, che ti stimano, a cui stai davvero a cuore tu e le cose che fai. Questo “qualcuno” è la prima radice (Simone Weil), questo “qualcuno” è la ragione unica per cui continuare a rivoltarsi.
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C’è poi tutta la questione della catarsi, quasi del tutto rimossa dalle pratiche sociali e culturali contemporanee. La gente non ama la catarsi: troppo faticosa, troppo impegnativa, troppo traumatica. È un processo duro da affrontare – e quindi, non si affronta. Se qualcosa non è comodo, già pronto, a portata di mano – non si fa.
“Scavò coi piedi delle piccole buche nella sabbia per le spalle e i fianchi del bambino, dove si sarebbe coricato, e gli si sedette accanto abbracciandolo e scompigliandogli i capelli davanti al fuoco perché si asciugassero. Tutto questo come un rituale antico. Così sia. Evoca le forme. Quando non ti resta nient’altro imbastisci cerimoniali sul nulla e soffiaci sopra” (Cormac McCarthy, La strada, Einaudi 2010, p. 57).
Sono convinto che non sia una realtà scadente a produrre un’arte scadente, ma piuttosto che sia vero il contrario: se un Paese e una comunità producono arte e cultura scadenti, ciò non potrà che riflettersi in parecchi modi sulla realtà circostante. L’immaginario è in effetti molto più potente di quanto oggi si creda; e il fatto che cose come il senso del tragico, la catarsi, il rito e la dimensione del sacro ‒ dimensioni che tutte hanno moltissimo a che fare con l’arte ‒ siano oggi così sottovalutate e ridicolizzate secondo me è parte integrante del problema.
‒ Christian Caliandro
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