La differenza tra accesso e fruizione. Eccola la vera crisi delle biblioteche
Quali sono le ragioni che hanno portato alla crisi delle biblioteche? E quali possono essere i rimedi? Se lo chiede Stefano Monti.
Le biblioteche in Italia vivono, ormai da anni, un periodo di crisi, in primo luogo identitaria.
Il settore bibliotecario non è certo ignaro di questa condizione, e negli ultimi anni sono state numerose le iniziative poste in essere per rilanciare il ruolo che le biblioteche possono (e devono) avere nella vita quotidiana dei cittadini. La biblioteca è stata così più e più volte ri-pensata: dalla biblioteca come “piazza del sapere” alla biblioteca come “centro servizi”, dalla biblioteca come “aggregatore di proposte culturali” alla biblioteca come “luogo di ritrovo”.
Queste attività hanno decisamente contribuito a incrementare il livello qualitativo offerto dalle strutture bibliotecarie, ma non hanno avuto gli impatti che si credeva (sperava) avessero. Il motivo, probabilmente, è che questi interventi si sono concentrati sul concetto di accesso più che sul concetto di fruizione. Questa differenza, che suona un po’ accademica, è invece estremamente concreta. Si pensi, ad esempio, a Internet. Bene, Internet ha completamente rivoluzionato il modo con cui le persone possono accedere ai contenuti, ma ha lasciato quasi inalterato il meccanismo della fruizione, e ciò a prescindere dal “formato”.
Non è una differenza banale, e basta fare un parallelismo tra biblioteche e altri settori culturali per capirne appieno il senso.
Per guardare i dettagli del Giardino delle delizie di Bosch è probabilmente più efficace cercare il trittico su Google Arts & Culture piuttosto che andare al Prado. Eppure le persone continuano a visitare il museo. Analogamente, con l’avvento della musica digitale, le persone hanno smesso di comprare i dischi (a prescindere dal formato), ma non hanno smesso di andare ai concerti. Quando è esplosa la tecnologia del vinile era possibile acquistare tutti i dischi e le arie delle opere più famose, ma non per questo le persone hanno smesso (in quegli anni) di andare a teatro (hanno smesso più tardi e per motivi diversi).
Pragmaticamente, ciò significa che il luogo biblioteca deve essere ri-definito in modo da massimizzare i benefici che i fruitori possono trarne. Come fare? Non c’è certo una ricetta, ma è sicuramente possibile individuare alcuni “passaggi obbligati”.
LE POSSIBILI SOLUZIONI
In primo luogo è necessario conoscere il proprio target e il proprio prodotto. La biblioteca è, senza dubbio, il settore culturale che vanta la più grande diversificazione di offerta (dai videogame ai manoscritti rari) e di pubblici potenziali (praticamente tutti gli esseri umani).
La biblioteca non può ripensare se stessa sotto il profilo della fruizione senza tener conto di queste differenze. In secondo luogo, la biblioteca, una volta definiti i propri pubblici, deve differenziarsi per rispondere alle differenti esigenze che ognuno di essi presenta. È proprio questo il punto più delicato della questione: per riuscire a segmentare la propria offerta sulla base delle esigenze del proprio pubblico, la biblioteca deve moltiplicarsi, anche fisicamente. In modo più concreto, è chiaro che le esigenze di un professionista saranno probabilmente differenti da quelle di un ragazzo del liceo o di uno studente universitario. La biblioteca deve quindi scindersi per poter entrare nella vita di ciascuno di questi target.
Sfruttando i vuoti urbani, vale a dire gli immobili che sono in condizione di sub-utilizzo o addirittura in disuso, è oggi possibile creare una serie di luoghi culturali dislocati all’interno delle nostre città. Non si tratta di una biblioteca diffusa, ma di luoghi differenti, pur se gestiti con una logica centralizzata. In questo modo è possibile creare una ludoteca, nei pressi delle scuole, in cui i ragazzi possono frequentare la biblioteca per accedere alla Rete Internet, per accedere ai moduli multimediali dei testi scolastici, e (perché no?) accedere a consolle di gioco come Playstation o affini. Al contempo, nei pressi degli uffici o nei pressi delle stazioni, è possibile definire “sale riunioni” per gli startupper o, più semplicemente per professionisti, con accesso alle banche dati scientifiche, finanziarie ed economiche.
Ancora, aprire biblioteche-studio per le università, perché non tutte le università sono dotate di un sufficiente numero di aule-studio e, altrettanto frequentemente gli studenti non vivono nei pressi dell’ateneo. E, infine, aprire luoghi di lettura ad alto comfort, con poltrone comode, auricolari per accedere a banche-dati di musica gratuita ecc.
“Il luogo biblioteca deve essere ri-definito in modo da massimizzare i benefici che i fruitori possono trarne”.
Problemi di risorse? Non è detto. Facciamo un esempio concreto: siamo sicuri che la creazione di questi hotspot della cultura sia davvero più onerosa del tenere aperta la Biblioteca Nazionale il sabato sera? A ciò si associ che questi luoghi non sostituiscono la biblioteca, la integrano in una logica freemium. Luoghi pubblici in cui per fruire di alcuni servizi a valore aggiunto gli utenti sono chiamati a pagare un corrispettivo (seppur calmierato rispetto ai prezzi di mercato): dal banale bar per le aule studio a supplementi per accessi a tempo ad alcune risorse digitali per le aule riunione, fino a supplementi più personalizzati, come la prenotazione di una specifica poltrona per i luoghi lettura, alla vendita di libri presi in prestito, alla visione di film on-demand nelle aule universitarie. Senza citare i potenziali accordi tra pubblico e privato che una visione di questo tipo può generare e da cui possono derivare accordi per assunzione di personale con le adeguate qualifiche. Chiaro, ci sono molte altre dimensioni che è necessario valutare. Questa, tuttavia, è una strada nuova che, forse, vale la pena considerare.
‒ Stefano Monti
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