Quando le statue sognano. Arte antica e contemporanea al Museo Salinas di Palermo
La mostra allestita al Museo Salinas di Palermo svela l’affascinante dialogo tra arte antica e contemporanea. Dando visibilità a spazi rinnovati e alle opere conservate nei depositi.
“[Nel dramma] tutto trovava la sua più compiuta espressione dove l’occhio e l’orecchio, lo spirito e il cuore vedevano in carne e in spirito tutto quel che la fantasia non aveva più bisogno di immaginare… Questa era l’opera d’arte greca, questo Apollo trasformato in vera arte vivente, questo il popolo greco nella sua suprema verità e bellezza” (Richard Wagner, L’Arte e la Rivoluzione, 1849). A metà dell’Ottocento, Richard Wagner coniava il concetto di Gesamtkunstwerk, ovvero “opera d’arte totale”. Nutrita da una necessità interiore, lontana dalle mode off e dal mercato, su modello dell’opera d’arte greca, era la sintesi di tutti i generi artistici (musica, drammaturgia, coreutica, poesia, arti figurative), semplici mezzi in vista del raggiungimento della rappresentazione assoluta, intesa come opera collettiva.
La mostra Quando le statue Sognano. Frammenti da un museo in transito, in corso al Museo Archeologico Salinas di Palermo, è un’opera d’arte totale che, oltre a riunire in un’unica rappresentazione corale tutte le arti, congiunge anche il tempo dell’antichità a quello della contemporaneità, realizzando la realtà di un sogno condiviso, ovvero “tutto quello che la fantasia non ha più bisogno di immaginare”.
La regia di questa rappresentazione, in cui torna a più riprese il riferimento all’universo dionisiaco, spetta a due donne: Caterina Greco, direttrice del Museo Archeologico Salinas, e la critica d’arte Helga Marsala.
Una mostra in due capitoli, che nasce dall’attesa del riallestimento definitivo di un museo “in transito”, cioè in cammino per restituire al pubblico i suoi spazi, dopo un lungo cantiere di restauro: le opere antiche, esposte con un taglio fortemente contemporaneo, provengono dai depositi del museo, risvegliate temporaneamente e in attesa di essere collocate nelle rinnovate sale delle collezioni permanenti.
LA MOSTRA AL MUSEO SALINAS
L’architettura dell’ex monastero dei Padri Filippini, ritornando a poco a poco allo scoperto, diviene protagonista anch’essa della sacra rappresentazione, insieme alle opere antiche, provenienti per lo più da donazioni di epoca borbonica, e le opere contemporanee (fotografie, video, sound art, pittura, ceramica) di Alessandro Roma, 108/Guido Bisagni e Fabio Sandri. Anche la campagna di comunicazione, affidata all’artista Mimmo Rubino (alias Rub Kandy), entra a far parte dell’opera d’arte totale, con immagini suggestive in cui la statua diventa persona e la persona diventa protagonista del suo sogno marmoreo. E la mano che delicatamente accarezza la pelle viva dell’austero Cesare di età tiberiana (44 a. C.) ritorna nelle fotografie che aprono il percorso espositivo, scattate da Ferdinando Scianna nel marzo del 1984 a un ormai cieco Jorge Louis Borges in visita al Salinas con la moglie Maria Kodama. Chiuso l’occhio fisico, in queste bellissime immagini in bianco e nero Borges si muoveva con l’occhio dello spirito, vedeva le opere attraverso le mani, tra pelle e pietra, tra oscurità e sogno, realtà e immaginazione, tutte suggestioni presenti nella sua ricerca letteraria.
Da questo pronao si accede alla grande ala del primo piano, dagli Anni Settanta utilizzata come area uffici e solo di recente restaurata, ma non ancora inaugurata: mai vista, prima d’ora, in questa veste nuova. Trasformata in una Wunderkammer sospesa nel tempo, diventa oggi spunto per un racconto in cui le opere antiche dialogano in assoluta naturalezza con quelle contemporanee, in un percorso incalzante scandito da tre grandi tematiche: l’Uomo, la Natura, il Sacro.
108, SANDRI E ROMA
Si entra nella Sala delle Colonne accompagnati dai suoni dei field recording notturni di 108/Guido Bisagni (la pioggia a Kyoto, gli insetti di una collina nei pressi di New York, più avanti dei ruscelli sugli Appennini, mixati con dei droni): un collante sonoro, delicato e potente, dell’intero percorso espositivo. Piccole lucerne di terracotta (I-V sec d. C.) rimandano a un ricordo di luce soffusa che, nei grandi ritratti fotografici di Fabio Sandri, dissolve la visione: le impronte su carta fotosensibile in continua impressione delle sculture, riportate alla luce dai depositi del museo (Cesare, Pan, il Satiro versante, la Menade), si consumano davanti agli occhi, per diventare poi accumulo della memoria, nel contrasto forte tra la solidità delle statue medesime e l’evanescenza delle immagini. Come su un palco sacro, il coro delle teste votive di Cales – mai esposte, nella storia del museo ‒ è incorniciato dalle quinte degli arazzi e delle ceramiche di Alessandro Roma, frammenti di natura implosa in un passato lontano, di un bosco sacro primordiale. Dal regno di Dioniso, tra gli affreschi decorativi di Solunto (I sec. a. C.) e il gruppo bronzeo di Eracle e la Cerva (Pompei I sec. a. C. – I sec. d. C.), attraverso il Giardino delle Esperidi, si giunge nella stanza dell’Ariete di bronzo (Siracusa, III sec. a. C. – II sec. d. C.), un piccolo studio dell’alchimista in cui 108 sperimenta le sue macchie, reinvenzione astratta dell’ariete e del gemello scomparso, in un libro vissuto come un rituale misterico.
Il percorso espositivo culmina nella stanza della celebre Menade, con il bellissimo pavimento musivo (Palazzo della vittoria, Palermo, II – III sec. d. C.) divenuto giardino metafisico con le sculture di Roma giunte da boschi mitologici, il seicentesco soffitto ligneo a cassettoni dipinto, la lunetta che comunica con la sottostante Sala delle Metope, e, infine, trionfante sulle quinte verdi del parco de La Favorita, su cui ha regnato fino al 1950, lei, la Menade Farnese di età imperiale, immersa in una notte ideale. Notte cantata in uno degli Inni Orfici, che 108 rielabora nella quarta traccia sonora composta per il Salinas: “Madre dei sogni, incompiuta, terrestre e ancora celeste”.
‒ Valentina Di Miceli
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