Una vita immersa nell’infinito. Vent’anni di Villa Panza
In occasione del ventennale dell’apertura al pubblico di Villa Panza, il FAI apre le porte su un imperdibile spaccato della storia del collezionismo d’arte.
Un’ora di macchina da Milano. Poco fuori dal centro di Varese, una stradina in salita. Un ingresso tutt’altro che appariscente. Una della tante ville storiche del quartiere di Biumo, si direbbe. Non appena dentro, però, scorgendo il grandioso giardino, si intuisce all’istante che Villa Panza, dal 1996 proprietà del Fondo Ambiente Italiano, è un luogo fuori dall’ordinario. Tanto che una visita alla villa e alle sue collezioni rapisce per ore, senza accorgersi del tempo che scorre. Inaugurata lo scorso 21 febbraio, la mostra Villa Panza: un’idea assoluta. Giuseppe Panza di Biumo, la ricerca, la collezione offre un’occasione d’oro per fermare il tempo e fare esperienza della dimora così come fu concepita. L’esposizione ripresenta infatti l’allestimento museografico originale indicato dal conte Panza, proprietario originario dell’immobile, al momento della sua donazione al FAI.
LA COLLEZIONE. MEZZO SECOLO DI STORIA
Giuseppe Panza nasce a Milano nel 1923 da una famiglia che possiede un’azienda viticola in Piemonte. Villa Menafoglio Litta, successivamente Villa Panza, viene acquistata dal padre nel 1935. Dopo la laurea in legge, nel 1954 Giuseppe compie un viaggio nelle Americhe, e il soggiorno negli Stati Uniti influenzerà particolarmente il suo immaginario estetico e lo stimolerà a dare vita a una collezione internazionale e anticonvenzionale. Il suo primo acquisto? Nel 1955, un Atanasio Soldati per centomila lire. Ma ogni anno lui e la moglie Giovanna trascorrono almeno un mese a New York, frequentando curatori e artisti, e dal 1956 al 2000 i Panza collezionano circa 2500 lavori. “Io faccio quello che voglio”, diceva spesso, “mi voglio dedicare agli artisti stranieri che in Italia non vengono e voglio portarli qui. Là ci sono una vitalità, un’energia contagiose”.
Per Giuseppe Panza l’arte è significativa se esprime dei valori fondamentali della vita. Dopo l’iniziale interesse per l’arte informale e la Pop Art, negli Anni Sessanta e Settanta la collezione si concentra sull’arte minimalista, concettuale e ambientale. In questo periodo scopre Dan Flavin che, ispirandosi ai ready-made duchampiani, crea sculture modulari con luci al neon, fino ad allora destinate al solo impiego funzionale e commerciale. A Villa Panza le installazioni di Flavin occupano buona parte di un’ala del piano superiore. Si affiancano gli interventi site specific di James Turrell e Robert Irwin: white box con squarci acustici e architettonici, dove interno ed esterno si fondono e confondono. Più recente il corpus di monocromi di Phil Sims, Ruth Ann Fredenthal, Ford Beckman, Max Cole, Ettore Spalletti e Alfonso Fratteggiani Bianchi, simbiotico con gli arredi sontuosi e la luminosità naturale della villa. Risalgono agli ultimi decenni della vita di Panza le opere d’arte africana e primitiva allestite nell’ex salotto della casa, al piano superiore.
LA COLLEZIONE PANZA NEL MONDO
Nel 1984 il MOCA di Los Angeles acquista da Panza un nucleo di ottanta opere di Jean Fautrier, Roy Lichtestein, Franz Kline, Claes Oldenburg, Mark Rothko, Antoni Tapies, George Segal e altri. Qualche anno dopo, trecento opere sono cedute al Guggenheim di New York alla metà del valore stimato dagli esperti, circa dieci milioni di dollari, altrettante vengono donate e concesse in prestito di lungo periodo. Oggi la collezione Panza è in parte esposta a Biumo, e, in parte, al MOCA, al Guggenheim di New York, al Museo Cantonale di Lugano e in altre sedi museali e istituzionali sparse nel mondo.
UN’ESPERIENZA DI BELLEZZA
Oltre che una location fisica, la villa è uno spazio mentale, e per Giuseppe Panza l’arte è stata la via per raggiungerlo. Mentre l’originaria cappella è stata tramutata in toilette portaluppiana, con tanto di marmi, specchi e vasca da bagno, l’intera collezione trasuda trascendenza. Nella Scuderia Grande, l’iperbolica Desire (1981) di Martin Puryear trasforma il reale in surreale; mentre accanto al cortile il trittico fotografico di Wim Wenders (la villa ha ospitato una sua personale nel 2015) coglie il miracolo nel dramma delle Torri Gemelle. Essenzialità, luce, spazio, ma anche l’intimità delle scatoline appese di Stuart Arends e il senso di precarietà nelle sculture di Christiane Löhr. In tutti gli ambienti c’è il tocco di Panza, che da un momento all’altro sembra poter fare capolino. Chissà se il conte, il cui padre spirituale per molti anni è stato David Maria Turoldo, preferiva meditare nelle stanze al neon di Flavin o in quelle inondate di luce naturale di Robert Irwin e Turrell. “Per tutta la vita”, confessò anni fa a Philippe Ungar, “non ho fatto altro che cercare la bellezza. In sua presenza, ho l’impressione che la mia vita sia immersa nell’infinito. Mi capita di sentirmi così nel parco della Villa a Varese. Ma oltre a essa, in gioco c’è ovviamente qualcosa di spirituale. La mia esperienza della bellezza si sovrappone alla mia ricerca della libertà”.
‒ Margherita Zanoletti
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