I misteri della Galleria Buongiorno Arte Contemporanea
Nuova passeggiata immaginaria alla scoperta di una galleria che, durante l’orario di chiusura, si trasforma in uno spazio quasi magico.
Si dice che alla Galleria Buongiorno Arte Contemporanea, ogni notte, dopo l’orario di chiusura al pubblico, ha inizio un particolare cerimoniale che rende questo spazio romano di via Bonifacio XXIII qualcosa di assolutamente innovativo agli occhi del mondo intero. A primo acchito la galleria segue gli orientamenti del mercato, ha una sua scuderia con artisti tra i più esclusivi (anche stranieri che sono molto cool e tra le esterofilie a buon mercato aprono porte altrimenti inaccessibili) e una sua rigida programmazione annuale: partecipa a fiere del settore, tra le più importanti come Art Basel, e non disdegna progetti curatoriali che le possano portare maggiore notorietà, soprattutto individuando il curatore più gettonato, magari capace di aprire tra la galleria e l’ambiente istituzionale tal dei tali dei ponti costruttivi o anche qualche vendita in più che non fa mai male.
Tuttavia, accanto a queste mostre istituzionali, sempre molto apprezzate dal pubblico di settore che arriva in galleria a ogni vernice per non perdere l’occasione di salutare qualche amico, per scroccare un buon aperitivo o semplicemente per essere presente e sentirsi parte di una grande bellezza alla Paolo Sorrentino, di notte la Galleria Buongiorno Arte Contemporanea (qualcuno ha cominciato a chiamarla allegramente Galleria Belladinotte) cambia radicalmente il suo assetto espositivo con una tale velocità che fa ormai invidia ai più grandi allestitori del settore.
Dopo circa due o tre ore dalla sua regolare chiusura, la galleria chiude alle 19:30 in punto tranne che in circostanze eccezionali come l’imprevista o la tanto attesa visita di un ospite (s)gradito e in momenti che precedono un vernissage, nonostante il sistema d’allarme colga anche il più impercettibile spostamento d’aria e dunque sia un guardiano attento che per giunta non dorme mai, le due ampie vetrine a fronte strada di questo elegante ambiente (la Buongiorno Arte Contemporanea è ubicata al piano terra di via Bonifacio e si trova esattamente al numero 52, proprio accanto al portale d’ingresso del Giardino Discreto) offrono uno spettacolo quanto mai insolito. Le luci si riaccendono di colpo e agli occhi dei passanti appare uno scenario diverso da quello lasciato qualche ora prima sotto il controllo dei sette sensori a movimento-volumetrico PIR+DMT multitecnologia: e i sensori funzionano perché Elisabetta Chiarezza, questo bisogna dirlo a sua discolpa, è un’assistente di galleria tanto ligia al dovere, attentissima a eseguire ogni sera tutti i debiti controlli.
UN ALLESTIMENTO SEMPRE DIVERSO
La pratica sembra ricordare un po’ il Teatro delle Mostre organizzato alla Galleria la Tartaruga di Plinio de Martiis, dove per un intero mese l’evento mutava ritmicamente perché prevedeva ogni giorno l’azione di un artista diverso come Giosetta Fioroni, Ciro Ciriacono, Ettore Innocente, Gino Marotta, Emilio Prini e Paolo Icaro, Giulio Paolini o Cesare Tacchi, la cui Cancellazione d’artista rappresenta appieno l’atmosfera di una certa ricerca artistica (tacchi chiuso in una nicchia ricoperta da una parete completamente trasparente. seduto su uno sgabello, la luce di una lampada sul capo. immobile. poi comincia con un pennello ed un barattolo di vernice bianca a cancellarsi), ma alla Galleria Buongiorno Arte Contemporanea che è stata sempre in silenziosa competizione con la Tartaruga sin dal 1954, le cose sono diverse, a partire dal fatto che le opere sono tutte plasmate con ingredienti quali l’acqua, il fuoco, l’aria, lo zucchero, le bolle di sapone e la varichina. Tra l’altro qui non è l’artista a interagire con lo spazio o con l’opera lasciata dall’artista il giorno prima, ma, è quello che dicono e non vale la pena contraddire questa leggenda metropolitana, da un’ombra che scavalca la cornice di una vecchia fotografia (un po’ come fa quel vecchio del racconto Il ritratto di Gogol’) e con santa pazienza organizza un nuovo allestimento, sempre diverso da quello precedente, e con opere davvero elettrizzanti.
Personalmente pensavo fosse una baggianata, ma trovandomi un giorno a passare in via Bonifacio XXIII in compagnia di due cari amici, il pittore Enrico Pulsoni e il fotografo Andrea Chemelli, ho assistito personalmente anch’io, tra un pubblico ormai abituale che cerca di non perdersi neanche una mostra (non scappano qualche volta delle belle recensioni, perché le mostre sono belle per davvero), a una di queste esposizioni e sono rimasto talmente sbigottito da non ricordare esattamente cosa il mio cervello avesse realmente registrato di quell’evento eccezionale che mutava costantemente sotto gli occhi di tutti. Tra i presenti, con noi (avevamo formato un piccolo gruppetto) c’erano anche Giuseppe Pietroniro e Marco Raparelli.
Nell’insieme l’esposizione era molto composta, impaginazione classica e poco esaltante. C’erano otto opere a parete e una grande installazione centrale a forma di cilindro da cui usciva un leggero vapore acqueo e dava l’impressione che al suo interno ci fosse un liquido portato a ebollizione. Le opere a parete avevano una cornice fluida, continuamente vibrante, sembrava d’acqua, ma d’un’acqua albuminosa, densa, mercurea. E all’interno d’ognuna era presente, visibilissimo, qualche scorcio di paesaggio naturale.
UNA FATA DELLA LUCE
Da quella struttura centrale a un certo punto, e in quel preciso istante tutti gli astanti hanno perso finalmente la parola perché erano troppo rumorosi anche per i loro stessi gusti, ecco sbucare fuori una leggiadra fata della luce che, dopo essersi inchinata verso di noi, gesto alquanto teatrale che presuppone l’inizio di una recita, ha cominciato a librarsi nell’aria, volando di opera in opera per penetrarci letteralmente all’interno e accendere delle fiammelle verdastre, luminosissime, ora su un albero, ora su un covone, ora sul cappello nero di uno spaventapasseri, ora su un papavero, ora sulla mano sinistra di un pastore che passeggia con la sua gregge, ora sull’occhio di una ragazza che sorride a una rosa da lontano, ora su un terreno arato, ora sul cucuzzolo di una montagna azzurrina e davvero ammuffita. Dopo aver acceso queste fiammelle, la fatina è ritornata alla struttura cilindrica, ha salutato tutti con uno sguardo buio e nuvoloso ed è svanita nella nebbiolina nata da quello strano vapore acqueo. In quel preciso momento da ognuna delle fiammelle e dunque da ognuno dei lavori presenti un filo di luce poco alla volta, quasi spinto dal vento o trasportato dalla mano sapiente di un sarto, ha preso a muoversi per disegnare nell’aria una traiettoria ben precisa andando a raggiungere o il punto di origine da cui partiva un altro filo o il pavimento o ancora un foglio di carta su cui emergeva, a intermittenza, una scritta: “mai mancante neve di metà marzo”.
Alle 23:45 lo spettacolo era finito, la Galleria Buongiorno Arte Contemporanea era ripiombata nel suo consueto sonno notturno e il nostro silenzio… beh, quello è stato smozzato dalla voce sgradevole di un passante.
Questa particolare circostanza, a dirmelo è stata Elisabetta Chiarezza, si manifesta da quando il dott. Michelangelo Buongiorno (se lo si chiama prima con il cognome e dunque Buongiorno Michelangelo, togliendo il dott. a cui tiene tanto, e ce ne scusiamo, il suo nome ricorda un bel cortometraggio realizzato da Ugo Nespolo nel 1967) ha appeso nell’ufficio della galleria, proprio sulla parete dietro la sua scrivania, la fotografia vintage, probabilmente dei primi anni del Novecento, di una ragazza originaria delle Filippine.
‒ Antonello Tolve
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