Il settore culturale. Crisi sistemica e opportunità di ricostruzione
C’è bisogno di un nuovo approccio sistemico al mondo della cultura in epoca di pandemia. Ecco alcune proposte elaborate sulla base dei dati emersi dal Rapporto AsVis Covid-Agenda 2030.
Il passaggio del virus, per dimensioni, effetti, impatto economico ed emotivo, obbliga a una riflessione globale. Una politica di ricostruzione non può procedere per settori, ma deve essere di largo respiro, vale a dire visionaria e ambiziosa, lontana dagli interventi emergenziali e parziali.
Se questo approccio è condivisibile in generale, deve diventare assioma se si interviene nei settori della cultura, dell’arte e del patrimonio artistico. Occorre, infatti, entrare nell’ottica che cultura e formazione sono elementi fra loro simbiotici e fondanti per lo sviluppo sociale, a partire da quello economico. Nessuna riforma avrà efficacia se non si restituisce centralità a questa visione.
Uno spunto paradigmatico, che va in questa direzione, emerge dal Rapporto AsVis Covid-Agenda 2030, che, a monte delle proposte specifiche per il rilancio economico, mette in relazione sviluppo culturale e salute, sottolineando le ricadute positive che si generano fra due settori apparentemente privi di relazioni.
LE DISEGUAGLIANZE TRA NORD E SUD ITALIA
Il comparto culturale in Italia soffre una crisi annale che la pandemia ha semplicemente contribuito ad acuire in alcuni segmenti più deboli della catena.
La progressiva diminuzione del sostegno pubblico è un fattore prioritario che precede qualsiasi congettura.
Oltre a questo, però, ci sono dei fenomeni che obbligano a una lettura critica e che occorre tenere in considerazione, se si vuole strutturare il settore per garantire una maggiore autonomia anche dal pubblico sostegno.
L’impoverimento dell’offerta, la scarsa circolazione delle proposte e delle attività, il progressivo calo dei consumi, sono alcuni problemi specifici che determinano l’aggravarsi di problematiche macro. Una mancata politica di “democratizzazione culturale” non ci permette ancora di considerare definitivamente superata la visione ottocentesca della cultura come un fattore di classe, innaturalmente utilizzata per distinguere e dividere, anziché unire e aggregare.
Permane, e anzi si aggrava di anno in anno, la differenza fra sud e nord per qualità di offerta, per opportunità di fruizione, per fluidità di circolazione di arte e cultura. Diminuiscono le opportunità per i giovani meridionali di potersi formare in luoghi di eccellenza, tanto che, accanto al problema dei “cervelli in fuga”, è urgente iniziare a pensare, e porre rimedio, ai “cervelli che restano” che rischiano di ritrovarsi in una landa inaridente.
Le disuguaglianze territoriali sono una delle più gravi questioni da risolvere e che si intreccia con tutta la storia della nostra Repubblica; risolvendo questa, molti altri problemi si risolverebbero a cascata.
IL CALO DEI CONSUMI CULTURALI
In Italia si registra una progressiva erosione di “consumatori culturali” e una crescente e preoccupante divergenza territoriale e geografica delle opportunità di fruizione culturale. Questi due fattori sono particolarmente pericolosi perché fortemente interconnessi, generando una asfissiante circolarità viziosa che logora l’intero comparto dal suo interno. Occorre perciò immaginare e attuare misure specifiche volte a: sostenere i costi di produzione; in grado di diversificare l’offerta; dare centralità all’istruzione e alle comunità locali; promuovere azioni che favoriscano la fruizione culturale, in una visione in cui la cultura sia nei fatti sentita come “bene comune”.
Nel 15° Rapporto di Federculture i dati relativi alla spesa delle famiglie per consumo culturale rilevano una “scarsa mobilità”. In particolare, la spesa di “ricreazione e cultura”, pur rappresentando la porzione maggiore (42%), è quella che cresce di meno; a sostegno di quanto detto in precedenza, il dato da considerare in modo allarmante è rappresentato dalle differenze territoriali fra regioni meridionali (con una spesa media di € 82) e settentrionali (con una spesa media di € 150).
Diventa, inoltre, sempre più difficile reggere il confronto a livello europeo, dove il consumo medio familiare per spesa culturale nel 2018 si attesta all’8,5% a fronte della nostra media nazionale pari a 6,7%.
FRUIZIONE CULTURALE E DIFFERENZE TERRITORIALI
Un altro dato da monitorare riguarda la fruizione culturale. In un panorama non del tutto rassicurante, si rilevano esiti di segno opposto fra i diversi settori con buone performance di siti archeologici (+9,2%) e musica leggera (+7,5%), mentre è ancora in calo il numero complessivo dei lettori.
Un dato importante su cui riflettere è l’impennata (+20,7%) registrata nel 2018 dalla fruizione di spettacoli del settore altri concerti di musica (musica leggera) nel segmento di età 18-19 anni; dato che diventa ancora più significativo se contrapposto alla fruizione di teatro da parte dei 18-19enni (-10,1%) e 20-24enni (-20,7%). L’allargamento e la diversificazione dell’offerta culturale (con l’affermarsi di nuovi generi musicali), accanto a una maggiore possibilità di fruizione di musica leggera (grazie a internet e al mercato digitale), potrebbero essere le cause di una fruizione così tanto differenziata.
Federculture stigmatizza come “ormai consolidate” le differenze di fruizione per aree geografiche, soprattutto per quanto riguarda i settori siti archeologici e monumenti (sud 18,4%; isole 22,8%; centro 32,3%; nord est 31,3%; nord ovest 30,7%), musei, mostre (sud 21,7%; isole 22,5%; centro 35,3%; nord est 37,9%; nord ovest 37,2%), teatro (sud 15,8%; isole 13,9%; centro 21,6%; nord est 21,5%; nord ovest 20,9%).
Da notare, invece, come meno marcate sono le differenze geografiche per altri settori come il cinema (sud 47,0%; isole 43,5%; centro 52,6%; nord est 48,9%; nord ovest 49,6%), discoteche, balere (sud 18,1%; isole 18,4%; centro 20,5%; nord est 19,9%; nord ovest 18,9%).
“Occorre ristrutturare il sistema delle sponsorship in modo profondo, privilegiando i rapporti imprese-attività culturali di lungo corso e con una progettualità su base pluriennale e con vantaggi immediati”.
Le differenze di fruizione su base territoriale sembrerebbero diminuire per quei settori (ad esempio il cinema) in cui la distribuzione e le opportunità di fruizione sono più omogenee.
Là dove il rapporto “importanti luoghi/produzioni artistico-culturali” è più basso rispetto alla popolazione, aumenta la percentuale di consumatori culturali.
Lo tsunami della pandemia ci dà la possibilità della ricostruzione operando scelte coraggiose che vadano nella direzione di una distribuzione più equilibrata dell’offerta e delle opportunità di fruizione culturali sul territorio nazionale.
Sarà dirimente agevolare l’ingresso nel settore delle ICC di figure professionali specializzate, giovani e innovative soprattutto in due settori strategici: la comunicazione e il management. Infine, l’utilizzo appropriato delle nuove tecnologie sembra essere una scommessa fondamentale per raggiungere nuovi pubblici.
MISURE PER AUMENTARE IL “CONSUMO CULTURALE”
Senza la pretesa di esaustività, si condividono alcune misure che potrebbero ampliare i consumatori culturali e ridurre i costi di produzione.
Le scuole come presìdi per la produzione e fruizione artistico-culturale. In considerazione delle accentuate disuguaglianze territoriali in termini di offerta e fruizione culturale, le scuole, che coprono capillarmente il territorio, dovranno avere un ruolo centrale, trasformandosi in agenzie culturali, per favorire l’educazione dei futuri consumatori culturali e, contestualmente, diventare palestre di nuovi talenti.
Si devono premiare gli Istituti che incentivano le produzioni artistiche e le attività culturali, attivando al loro interno “funzioni” stabili come servizi bibliotecari anche integrati, incluso il servizio di prestito inter-bibliotecario; compagnie teatrali, orchestre, band musicali, cori. I territori beneficerebbero di una frizzante offerta culturale, corroborando il processo che porterebbe a una diversificazione delle proposte artistico-culturali, lavorando, nel contempo, a un processo di educazione non formale al consumo culturale. Esistono sistemi di valutazione (ad esempio NEV e NIV) che potrebbero essere integrati con premialità specifiche inerenti la “vitalità culturale” di ogni singolo Istituto. In tal modo si stimolerebbe la nascita nelle scuole di attività culturali strutturate e integrate con la vita scolastica stessa.
Gli incentivi derivanti dovrebbero essere poi re-investiti andando a finanziare per i ragazzi giornate a teatro, visione di concerti e film, premi di lettura, visite a musei o pinacoteche, produzioni artistiche di giovani emergenti che andrebbero a rinforzare l’educazione degli allievi ai consumi culturali.
I dati INVALSI e OCSE ci restituiscono una situazione di stagnazione, se non di involuzione, per quanto riguarda gli effetti delle politiche formative messe in atto dai PON. La nuova programmazione potrebbe essere utilizzata per trasformare le scuole in agenzie culturali di prossimità.
Rimborso delle spese culturali. Tutti gli acquisti del settore (libri, spartiti, riviste, abbonamenti, ticket, dischi, mp3, strumenti musicali ecc.) dovrebbero essere portati a rimborso nelle dichiarazioni dei redditi, sul modello delle spese mediche.
Le Fondazioni di Comunità. Promuovere la diffusione delle FdC, con specifica propensione a svolgere azioni nei settori della cultura, dell’arte e del patrimonio culturale, mutuando le funzioni che i competence center svolgono per l’industria 4.0. Potrebbero, inoltre, diventare contesti di sperimentazione territoriale per la nascita delle Comunità Patrimoniali teorizzate dalla Convenzione di Faro, in cui implementare processi partecipativi e governance del patrimonio per uno sviluppo economico a base culturale. Le FdC dovrebbero lavorare su: fundraising (con attenzione particolare ai fondi diretti), programmazione e sviluppo. Se pensati come strutture sovracomunali, potrebbero essere la soluzione per evitare una frammentazione eccessiva della programmazione culturale dei centri minori.
MISURE DI SOSTEGNO AI COSTI PER LE PRODUZIONI
Voucher per l’utilizzo dei luoghi di cultura. Incentivare le nuove produzioni con una politica di sostegno ai costi di produzione, evitando l’erogazione di incentivi a pioggia i quali, invece, rischierebbero di impaludare la spinta innovativa. I voucher dovrebbero garantire l’utilizzo gratuito di luoghi di produzione culturale andando a premiare la programmazione, l’inclusione di nuovi pubblici, le competenze messe in atto dai soggetti proponenti. Eliminando o abbattendo i costi di affitto (che rappresentano una voce importante di costo), aumenterebbe la redditività di ogni spettacolo o evento, fungendo, dunque, da stimolo indiretto alle nuove produzioni, oltre ad aumentare le giornate di utilizzo (e dunque di reddito) dei luoghi di cultura.
Potenziare il sistema di sponsorizzazioni delle imprese private. Occorre ristrutturare il sistema delle sponsorship in modo profondo, privilegiando i rapporti imprese-attività culturali di lungo corso e con una progettualità su base pluriennale e con vantaggi immediati e accattivanti anche in caso di partecipazione a gare pubbliche. La leva degli incentivi potrà prevedere ulteriori premialità per quelle aziende che sosterranno imprese culturali più piccole o attività realizzate in territori periferici. In questa prospettiva si può potenziare ulteriormente l’Art Bonus creando, magari, un fondo nazionale per le nuove produzioni e per la circolazione sul territorio nazionale di quelle già realizzate.
Utilizzare i lavoratori socialmente utili o in cassa integrazione. I lavoratori rientranti in queste categorie che ne farebbero richiesta – appositamente formati – potrebbero essere utilizzati per svolgere servizi ausiliari presso i luoghi di cultura, specie in aree periferiche e in Comuni medio-piccoli con difficoltà a sostenere i costi di personale.
Sostenere l’assunzione di nuove figure professionali per le ICC. In particolare, nel management e nella comunicazione, due settori strategici per aumentare l’engagement e allargare il pubblico.
Supportare i costi di trasporto e viaggi. Scontare al momento dell’acquisto o rimborsare tutte le spese giustificabili legate al movimento di cose o persone per la realizzazione di spettacoli o eventi culturali; oltre ai vantaggi economici, si favorirebbe una maggiore circolazione dell’offerta culturale.
Sostenere i costi di comunicazione e promozione: oltre ai benefici diretti sul sostegno ai costi, si stimolerebbe l’ingresso nel mercato lavorativo di figure professionali specializzate, colmando uno dei vulnus del settore.
Riduzione di tasse sugli immobili destinati alla produzione o fruizione culturale.
Introdurre forme di accesso al credito facilitato per le ICC.
‒ Marco Mazzeo
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati