Ultime notizie: Sergio Risaliti racconta un’opera di Remo Salvadori
Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze, racconta le ultime produzioni degli artisti in un ciclo di appuntamenti su Artribune. La serie continua con Remo Salvadori
La nuova Ultima notizia mi arriva da Remo Salvadori. Lo immagino nel suo ambiente di lavoro a Milano circondato da tanta paura e sgomento, a coltivare il verde, qualche albero da frutto, e pensieri poetici nel suo piccolo ma curato giardino che si apre tra lo studio e l’abitazione a piano terra e nel silenzio. Leggo per lui: “Maturità di mela, pera, banana/ e d’uva spina…Tutto suggerisce/ morte e vita alla bocca…Lo sento. / Decifratelo sul volto di un bambino/ quando le assaggia. L’origine è remota”. Una piccola casa, bassa, a un solo piano, tra alti palazzi, in cui domina una quieta armonia, costruita sull’acquisizione del vuoto come esperienza creativa, in un sistema leggero e domestico di connessioni riposte tra materiali, oggetti, opere, libri, dove tutto è insieme e comunica per risonanze, come in un universo di stringhe eleganti. Altri versi, mi visitano la mente: “Ma l’esistenza per noi è magia ancora, in cento/ luoghi è origine che sgorga come fonte. Gioco di pure/ forze che nessuno attinge se non si china e ammira”. Tutto si esprime per sé e in un sistema di reciprocità estendendo dall’interno all’esterno qualità ed energie. Si sta bene a casa di Remo e di Sally, sua moglie australiana, che ha un’ampiezza di vedute non comuni, forse perché mantiene un dialogo aperto con un paesaggio e un vocabolario diverso, con elementi simbolici e figurativi lontani.
L’ARTE DI REMO SALVADORI. DALLA TOSCANA A MILANO
Remo è toscano, anche se da molti anni vive e lavora a Milano, dove è arrivato all’inizio degli anni Settanta. Nell’arte parlare di toscanità e fiorentinità, raccontare di una giovinezza trascorsa in visita a musei e chiese, conventi e ‘spedali’, dove al lume di candela si scoprono capolavori di Masaccio o di Pontormo, hanno un certo peso per chi ne ha fatto tesoro. Ho pensato a Remo adolescente in piedi ad ammirare la facciata di Santa Maria Novella, in visita agli affreschi di Beato Angelico in San Marco, nella Cappella dei Magi in Palazzo Medici Riccardi, il Cenacolo di Andrea del Sarto, la Madonna della Scala del giovane Michelangelo. Parlando di queste meraviglie lui aggiunge: “Donatello all’Opera del Duomo, i rapporti con amici, la città vissuta durante gli anni di formazione e ricordo ora con sorriso quando con naturalezza andavo a mangiare un uovo sodo nel cortile di Palazzo Pitti”. Certo, se non fosse poi partito, e se non si fosse fermato a Milano, innestando le sue radici su un altro territorio artistico, le sue opere non sarebbero quello che sono. Nella città meneghina, il suo bagaglio culturale e formale così rinascimentale si è confrontato con una diversa sensibilità e con più aperte e mutate pratiche artistiche, incontrando personalità di forte intensità come Marisa e Mario Merz, di Luciano Fabro, di Giulio Paolini e di Giovanni Anselmo, in quel prescritto circolo nato intorno alla Galleria Christian Stein, dove lui espone dal 1988 e dove gravitavano anche Alighiero Boetti e Jannis Kounellis.
LA TOSCANA DI REMO SALVADORI
Per certi periodi dell’anno, Remo, però torna nella collina oltre l’Arno verso Cerreto Guidi, a San Zio, dove si ferma nella casa di famiglia. Qui è nato e vissuto da piccolo e per una parte dell’adolescenza, a pochi passi dalla casa di Leonardo Da Vinci e dove ha uno studio che gli permette di lavorare in una solitudine nutrita di profumi, suoni, luci, nello svolgersi sempre diverso e sempre uguale delle stagioni e della vita naturale. Studio e casa si trovano in mezzo agli ulivi, su strade delimitate da cipressi, dove i vecchi possono morire serenamente vicino alle vigne, seduti sotto alberi da frutto in estate, come per stare al fresco, con la schiena appoggiata al tronco con negli occhi come ultima immagine la struggente bellezza di un tramonto, il transitare mutevole delle nuvole in cielo; come è stato per suo padre. Sono mondi in cui ancora oggi, le stanze d’inverno sanno di legna bruciata, in primavera di germogli e di siepi fiorite, d’estate di terra riarsa, quando le orecchie nella calma del salotto si ricolmano del frinire insistito delle cicale e leggere poesie di Rilke è come mantenere un impegno con la propria originaria vocazione: “Noi ci affanniamo sempre./ Ma il progresso del tempo/ consideratelo una smagliatura/ di quel che sempre resta”.
L’OPERA “CONTINUO INFINITO PRESENTE” DI REMO SALVADORI LETTA DA SERGIO RISALITI
Credo che la salda ispirazione di Remo Salvadori si nutra di queste radici, preservando un canale aperto con questo mondo che a tratti, se riesci a starci dentro sul serio, è fuori del tempo, come se tutto accadesse in un continuo presente che comprende il mondo di prima e il futuro. Un modo di essere nel tempo ciclico, come ciclica è la forma del suo Continuo infinito presente: un anello costituito da fili di metallo intrecciati assieme senza capo e né coda, come l’Uroboros, la figura simbolica dell’eterno avvicendarsi delle stagioni, dei giorni e degli istanti. In quell’anello intrecciato, che di volta in volta muta di diametro e instaura un differente dialogo con il luogo, si coniugano abilità manuale e immaginazione metafisica; l’opera manifesta la presenza e il calore di un’energia che alimenta l’esserci nel tempo e nello spazio, nella terra e nel cosmo, tra materiale e immateriale. Intrecciato intorno ad un’anima invisibile e secondo una regola costruttiva numerica, il cavo intrecciato forma un’unità circolare in cui inizio e fine si annullano. Figura del tempo e del continuo generarsi della vita, quel segno robusto, fatto di metallo, si torce e si plasma dolcemente sul terreno grazie alla maestria di mani che piegano e intrecciano il cavo in una danza che partecipa e rispecchia perfezione nell’armonia universale, ricevendo e offrendo il senso di un’esperienza e di una forma che non si limita o riduce alla sola apparenza tangibile. Ricordo quest’opera alla Fattoria Montellori di Fucecchio, intorno alla Colonna di San Zanobi al lato del Battistero a Firenze, sulla Penisola di Mornington, in Australia, poi a Garrison, nel prato antistante la casa in vetro di Nancy Olnick e Giorgio Spanu. E l’anno scorso allo Stiftung Insel Hombroich, vicino a Dusseldorf. Ma già prima in una mostra alla Manifattura Tabacchi a Firenze nel 2001, per un omaggio a Emil Molt, industriale del tabacco che aveva commissionato a Rudolf Steiner un modello educativo, diventato poi quello delle Scuole Waldorf in Europa e non solo.
POETICA E PRATICA ARTISTICA DI REMO SALVADORI
Nei giorni scorsi mi ha inviato qualche foto per una nuova opera a cui sta lavorando. Ha accompagnato l’inoltro con un messaggio e delle spiegazioni molto puntuali. Remo è sempre molto attento a dare in consegna gli strumenti essenziali, basilari per entrare in comunicazione con i significati riposti della sua opera attraverso l’illustrazione dei materiali, quella delle qualità intrinseche, delle proprietà e ogni altra suggestione utile a entrare nel vivo dell’esperienza, a partire dall’ideazione e in parallelo al processo esecutivo. A Remo non interessa una lettura solo formale; le sue creazioni sono molto semplici, geometrie ricorrenti, cerchi, anelli concentrici, semicerchi; oggetti e volumi che ricordano funzioni familiari: una tazza, un bicchiere, un tavolo. Forme e oggetti che si riproducono identici, variando misure e composizioni secondo i luoghi e le occasioni. Dietro le combinazioni e le disposizioni spaziali ci sono misure auree, decisioni ponderate che corrispondono a scale armoniche, messaggi riposti, sempre considerando le qualità dei metalli e le correlazioni tra loro, il nostro corpo, l’energia locale. Sono gesti antichi come quello di tagliare e piegare, di scomporre e ricomporre. Una pratica giornaliera, come quella ripetuta con Nel Momento, una serie di opere eseguite attraverso uno schema differito e variato di tagli e piegature su fogli in metallo, dove la mano si fa archetto, strumento di suono che vibra. Micro universi di luce e riflessi, di pieni e vuoti, con cui l’artista edifica un luogo di bellezza e meraviglia, non ottenuta sprigionando la volontà di potenza ma con quieta serenità di chi contemplando e meditando si rivolge con cura all’essenza nell’apparenza. Mi ha scritto di una pratica in divenire “che annoda la terra all’armonia universale”. Mi ha ricordato una parete illuminata da sette metalli: piombo, stagno, ferro, rame, mercurio, argento e oro, e della loro vicinanza, “che trovo sempre nuova e sorprendente, lo stare nel silenzio accanto alle loro corrispondenze”. Mi ha suggerito di fare riferimento a una poetica del “sottosuolo”, con cui poter interpretare “la nostra esistenza umana e la terra come essere vivente, i suoi metalli, la natura della sostanza”. E di ripetere come un mantra alcune parole: “rammentare, ricordare, rimembrare, per dare al ‘momento’ la sua giusta presenza, l’essere qui con mente, cuore e membra!”.
L’OPERA “TAZZE” DI REMO SALVADORI LETTA DA SERGIO RISALITI
Il messaggio si completava con una serie di immagini di disegni progettuali eseguiti a partire dal 1982, e tutti derivati dalla rinascita di elementi cui Remo assegna il titolo di ‘Tazze’. Ricevono, si colmano, conservano, restituiscono, si svuotano, passano la propria pienezza da un vuoto a un altro vuoto in una sorta di scambio familiare, conviviale, come in una danza cosmica. Sono lastre ritagliate di metalli diversi. Hanno una loro plasticità, una stabilità di forma, aperta al movimento, perché il senso della loro forma sta anche nella funzione, ricevere e travasare. Ha provato diverse posizioni, mutando la relazione cambia il senso della funzione, la relazione, la distribuzione dal basso all’alto e viceversa, e poi in altre direzioni temporali, in altre dimensioni spaziali. Mi scrive: “La Tazza è l’elemento che evoca la nostra parte emozionale che muove e trasforma. La sua forma bidimensionale e posizione sulla parete evoca una danza che è anche un vedersi. Ora l’oro che si fa Tazza, nel suo apparire ha trovato in questi giorni un’azione che si interroga su alcune connessioni. Sono cinque le nuove figure che ti invio di cui una andrà sulla parete. Apparentemente sono disegni di ripetuti tentativi, una danza permanente che lo sguardo coglie di volta in volta e che si offre all’osservatore attento e al suo stato di veglia. Oggi il sole fa di questa giornata un evento! Con affetto, Remo”. Intorno a questi pensieri, tutto assume la dimensione di una tragedia. Una generazione va, una viene. Molta della realtà che abbiamo costruito sta collassando a causa di un’epidemia globale. Nulla per adesso turba la danza di quelle forme. L’energia, in forma di luce, riempiendo quelle ‘Tazze’ scorre da un vuoto all’altro, di momento in momento e da un’eternità all’altra. E nulla andrà perduto.
– Sergio Risaliti
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