Fase Due (XI). Borghesucci

Essere giovani oggi. All’ombra della pandemia e immersi nelle logiche dei like imposte dai social network. Le riflessioni di Carmelania Bracco nell’ambito della serie di Christian Caliandro dedicata alla Fase Due.

Borghesucci. Siamo vecchi borghesucci travestiti da giovani. La nostra più grande preoccupazione è avere una bella immagine del profilo. Non parliamo con gli estranei. Se ci viene in mente una cosa mentre parlano la tratteniamo come pentole a pressione. Non ci piace confrontarci. Per conoscere una persona basta scorrere un po’ il suo profilo Instagram e se è ok cominciamo a seguirla. Il segno zodiacale. Ma io lo sapevo, questo è leone. Se non ci piace facciamo screenshot e mandiamo ai nostri amici. Vedi un po’ questo qui, che razza di problemi ha. Assuefatti. Non ci sta bene come ci trattano, come ci considerano, che giochino con le nostre vite e con il nostro presente. Lo scriviamo su Facebook. 300 like. È piaciuto, avevo paura che a quest’ora non l’avrebbe letto nessuno. Facciamo esplodere la rabbia in un post che leggerà un quinto di quelli che hanno messo like e con cui sarà d’accordo soltanto la metà di quelli che lo avranno letto. Praticamente solo le persone con cui esco. La rivoluzione. Io sono diversa dagli altri. Io combatto per le mie idee. Devo ripetermelo: io sono diversa dagli altri, io combatto per le mie idee. Cos’è, non ci credo davvero? Comunque adesso non sono più arrabbiata, è tutto finito.

Lucia Pompa, Frenetica, 2019, fotografia digitale

Lucia Pompa, Frenetica, 2019, fotografia digitale

SOCIAL NETWORK E LOCKDOWN

Per adesso ho finito di combattere. Di già. Bastava scriverlo, che bel potere ha la scrittura. Addirittura. Che fatica immane, però, e che forza incredibile hanno le mie idee spiattellate sulla home tra la ricetta di una torta proteica e la hit del momento.
Le mie idee per strada vengono investite da una bicicletta elettrica truccata, rimangono a casa quando io vado a ballare sulla spiaggia, si fingono morte quando provo l’ultimo filtro e mi compaiono le orecchie da cane. Sono stupita se apro la bocca ed esce anche la lingua. Faccio un giro. Mi sposto da un social all’altro, continuamente, non leggo le descrizioni delle foto. Doppio tap cuoricino a tutti perché sono amici miei. C’è un gattino grigio con un muso dolcissimo. Sono finita a guardare pagine e pagine che raccolgono foto di gattini e mi sento pure appagata. Il tempo scorre, sta andando bene la mattinata. Posto una foto col mio ragazzo. Ti amo, amore mio, da grande vorrei avere tanti soldi per viaggiare, sì, vorrei farmi un profilo con le immagini di tutte le mie, le nostre partenze. In corso una pandemia. Forse è vero, non sono ancora uscita dal lockdown. Mi fa male la testa e non so che tempo fa fuori. Non mi ricordo se sono in piedi o se sto seduta. Non mi piace il sole e lo evito. Non mi piace il mare e abito al mare. Sono in ritardo con la tesi di laurea. Ieri notte sono uscita sul terrazzo e c’erano le stelle, non credo di averne mai viste così tante. Mi sono sdraiata per terra e ho pianto. Mi tiravo i capelli, speravo di trovarli tutti, a ciocche, fra le mani. Cantavo una canzone di Jeff Buckley e non smettevo di piangere.

Lucia Pompa, Frenetica, 2019, fotografia digitale

Lucia Pompa, Frenetica, 2019, fotografia digitale

GIOVANI E BORGHESI?

Ora tu mi spieghi cosa sta succedendo a me, se questa cosa sono io, perché cazzo non sono fuori a ubriacarmi con i miei amici, a fumare, perché non sto vomitando, perché un mattone non mi schiaccia la testa adesso. Davvero basta così poco per essere giovani? Davvero basta essere inconsapevoli, di tanto in tanto, perdere il controllo, i sensi, la dignità, fare figure di merda che i tuoi amici possono filmare? Basta ballare fino all’alba e strusciarsi sul culo di qualcuno che puzza di alcool e sudore e fumo insieme? A me non piace essere così, te lo giuro, mi fa schifo, mi fanno schifo le feste, a me non piace stare a casa, essere pallida, grassa, accondiscendente, avere la febbre la domenica mattina, non mi piace stare sdraiata, trascinarmi dietro gli impegni, soffrire di emicranie a ventitré anni, avere la cellulite, che mi chiamino depressa, stare con la gente e aver paura di non essere ascoltata, no, amico, tu ora mi devi ascoltare, tu ora devi leggere ogni fottuta parola che scrivo e devi anche immaginarla pronunciata dalla mia voce, dinoccolata sul mio tono lamentoso che ho solitamente. Non c’è via d’uscita se non c’è qualcuno che mi ascolta gridare Jeff, non c’è via d’uscita se questi cazzo di cinquantenni pensano che i loro figli di merda siano migliori degli altri perché hanno studiato ingegneria e hanno preso la lode, il bacio, l’applauso e fanculo se ci hanno messo tredici anni a laurearsi. Vi svelo un segreto: i vostri figli non sono unici. E non faccio la cameriera perché mi piace, ma perché ho bisogno di soldi per campare e fare le mie cose e l’unico lavoro disponibile al momento è fare il cameriere perché la gente gode tremendamente se ti vede chinato a terra a raccogliere la sua merda, che brava ragazza, com’è servizievole. Non mi va di essere sempre servizievole, ma non riesco a dire molto. Siamo quelli che dicono e dentro hanno il cuore che crolla perché non conosce mai parole adatte.

Carmelania Bracco

LE PUNTATE PRECEDENTI

Fase Due (I). Niente è come prima
Fase Due (II). Il peso della insostenibilità
Fase Due (III). Il problema del disprezzo
Fase Due (IV). Il ritardo dell’arte contemporanea
Fase Due (V). Tempo di morire, tempo di vivere
Fase Due (VI). Tirare le fila
Fase Due (VII). Connessioni
Fase Due (VIII). L’epilogo della finzione
Fase Due (IX). Il problema della tradizione
Fase Due (X). Condivisione

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Carmelania Bracco

Carmelania Bracco

Carmelania Bracco (1997), laureata nel 2018 in Decorazione presso l'Accademia di Belle Arti di Foggia con una tesi sperimentale sul postmodernismo, frequenta il Biennio di Decorazione Arte Ambientale. È interessata all'arte contemporanea e al rapporto che essa intrattiene con la…

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