In Toscana la collettiva ispirata a Stoner, il romanzo di John Edward Williams

Un nome, anzi, un cognome. Un romanzo. Una mostra. In una parola: Stoner. Liberamente ispirata a un libro, che è anche un caso letterario, la collettiva allestita nel Palazzo Pretorio di Certaldo fa parte del Festival delle narrazioni popolari (e impopolari).

Cominciamo dal libro: nel 1965 John Edward Williams pubblicò a New York il suo romanzo Stoner. Non ebbe un gran successo, e la storia così “normale” di un professore universitario che pare impersonare il cliché dell’uomo medio, con una vita che gli scorre addosso senza mai prendere una autentica decisione, fu presto dimenticata. Solo dopo la morte del suo autore, nei primi Anni Duemila, il libro venne ripubblicato e accadde l’inaspettato: complice una sensibilità letteraria matura per le narrazioni dal forte carattere introspettivo, l’interesse nei confronti di Stoner ebbe un’accelerazione, facilitata anche da un vivace passaparola sui social network.
Tra i lettori conquistati da Williams – in Italia fu Fazi Editore a dare alle stampe il romanzo nel 2012  – figurano anche Cinzia Compalati e Andrea Zanetti, anime e curatori di una mostra di arte contemporanea concepita nel 2016 a Pescara grazie a un crowdfunding e che ora, arricchita e completata, è stata il progetto trainante del Festival delle narrazioni popolari (e impopolari) del territorio dell’empolese valdelsa che quest’anno si è svolto all’insegna del tema “Ci sono sempre parole”: la straordinarietà del quotidiano è diventata quindi soggetto di racconti, spettacoli, eventi che hanno coinvolto anche e soprattutto la cittadinanza.

Eleonora Roaro per Stoner. Landing pages. Photo Sirio Zabberoni

Eleonora Roaro per Stoner. Landing pages. Photo Sirio Zabberoni

OTTO PROTAGONISTI A CERTALDO

A otto artisti, le cui opere sono allestite negli spazi del Palazzo Pretorio di Certaldo, è stato chiesto di interpretare ciascuno un personaggio di Stoner, scavando a fondo nelle varie personalità e incanalando “la narrazione nelle suggestioni della forza visiva”, dichiarano i curatori. Ecco allora che il percorso si snoda attraverso vari linguaggi espressivi, dalla fotografia alla performance, dal video all’installazione.
A Stefano Lanzardo (La Spezia, 1960) l’arduo compito di interpretare William Stoner: lo ha fatto con quattro fotografie, sfocate ed evanescenti, legate ad altrettanti momenti dell’esistenza antieroica del protagonista del romanzo, dalla partenza dalla terra che lo ha generato alla rivelazione della letteratura, dai limiti della sua carriera universitaria alla sua unica, autentica storia d’amore.
Al suo fianco Edith, che compare in due opere di Eleonora Roaro (Varese, 1989): sul monitor l’occhio ceruleo osserva senza tregua il marito Stoner (e pure noi visitatori, inquietandoci), mentre su una scrivania dipinta di rosa si appoggia un monitor che trasmette la performance dell’artista, la quale ha scelto di rappresentare la prima dichiarazione di guerra verso Stoner da parte di Edith, decisa ad allontanare dal marito la figlia Grace. Per trovare la bambina, Grace appunto, è necessario scendere nel ventre del palazzo medievale, nell’angusta prigione delle donne, dove Emiliano Bagnato (La Spezia, 1993) coinvolge chi si avvicina all’opera in una sorta di dialogo familiare musicale e interattivo.

Stefano Lanzardo, In me tu vedi, 2016 alias Stoner #1. Photo Stefano Lanzardo

Stefano Lanzardo, In me tu vedi, 2016 alias Stoner #1. Photo Stefano Lanzardo

STONER E GLI ALTRI

Stoner – così narra Williams – ebbe un solo amico vero, e un solo nemico acerrimo: il primo è Gordon Finch, a cui ha dato voce Mauro Fiorese (Verona, 1970-2016) riprendendo alcuni scatti dal suo blog www.libraincancer.it e componendoli in dittici che fanno riflettere sul grande tema dell’amicizia. All’odiato Lomax è invece riservata un’opera di Zino (Teramo, 1973) che, nella ripetizione ossessiva della prima frase in cui si descrive il personaggio, inserisce un fattore sorpresa: poche parole per rispecchiare pure l’opinione sul romanzo dello stesso artista.
Particolarmente evocativa, anche grazie a un’attenta resa tecnica e a una leggerezza incantevole, la videoinstallazione di Roberta Montaruli (Torino, 1978): le immagini si creano con il carboncino e si cancellano con la gomma, e gli oggetti scorrono in una sequenza che lascia trasparire la storia d’amore tra Stoner e Katherine. Forse l’opera migliore di tutta la collettiva.
Tutte le vite terminano allo stesso modo, anche quelle più insignificanti: la morte è il soggetto del lavoro di Giuliano Tomaino (La Spezia, 1945) con il suo soffermarsi sulla bara del padre di Stoner. La frase dipinta sul fondo della cassa è parzialmente leggibile grazie a una telecamera, il resto è affidato al segreto della terra. Corde di viola portate quasi a rompersi costituiscono la colonna sonora del romanzo, firmata da Jacopo Simoncini (Carrara, 1979): stridono terribilmente, come le esistenze narrate da Williams.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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