Spazi matriarcali, parte seconda (I). Il pensiero femminile

Secondo capitolo della serie di mini-saggi di Christian Caliandro dedicati agli “spazi matriarcali”.

Se sommiamo le vite di tutte le donne oscure alle quattro vite che sono uscite dall’oscurità e anzi hanno avuto successo al punto di essere affidate alla pagina scritta, le vite di Florence Nightingale, di Anne Clough, di Mary Kingsley e di Gertrude Bell, dobbiamo concludere che esse furono educate tutte alla medesima scuola. Loro maestre, come obliquamente e indirettamente ma non per questo meno enfaticamente e inconfutabilmente ci indicano le biografie, furono la povertà, la castità, la derisione e… ma quale parola esiste per indicare la ‘mancanza di diritti e privilegi’? Dovremo ricorrere una volta di più alla solita vecchia parola, ‘libertà’? La ‘libertà da fittizi legami di fedeltà’ fu dunque la quarta maestra” (Virginia Woolf, Le tre ghinee, Feltrinelli 2018, p. 111). “La legge inglese fa in modo che non ereditiamo grandi ricchezze; la legge inglese ci nega, e speriamo che continui a farlo per molto tempo, il marchio della piena cittadinanza. Né abbiamo motivo di dubitare che i nostri fratelli continueranno a fornirci per molti secoli a venire, come hanno fatto per molti secoli passati, quell’elemento tanto indispensabile per la salute mentale, così prezioso per prevenire i peccati capitali della nostra epoca, la vanità, l’egoismo e la megalomania: voglio dire il ridicolo, la disapprovazione e il disprezzo” (ivi, p. 116).

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Infografica, schema sinottico di Martina Tariciotti

Infografica, schema sinottico di Martina Tariciotti

Che cosa ci ha fatto il lockdown: apertura, intensità… Everywhere I look you’re all I see. Sono qui alla Masseria Torrechiara di Corato, per la residenza artistica Goodnight, e osservo queste giovani donne alle prese con le loro opere-nonopere. La forza, la decisione, il coraggio spericolato che ci mettono – sono totalmente concentrate, e stanno applicando un’attitudine, una disposizione che sarebbe rara anche in artiste più mature e blasonate… Lo spazio che creano, attorno a sé, quando lavorano… Quando sono assorte in un proprio mondo… Lo spazio matriarcale (favorito molto probabilmente dal virus e dal lockdown) è in fondo questa cosa qui: uno spazio di concentrazione totale, che altera e sdefinisce i confini tra interno e esterno, tra arte/cultura e natura, tra storia e futuro. Loro sono in grado di farlo – e tu devi aiutarle in questo, e imparare da loro. “Non piango per voi – io piango per me.” “Quella donna ha meritato la sua vendetta – e noi meritiamo di morire”, dice Michael Madsen in Kill Bill Vol. 2, sorseggiando un drink gigante seduto davanti alla sua roulotte nel bel mezzo del deserto – ed è proprio così, creare recuperare un po’ di quella placidità con cui lo dice, di quella serena accettazione…  è l’allegria di naufragi di Ungaretti, ancora e sempre – più cresci, più vai avanti e più ti rendi conto di come la felicità non sia altro, se ci pensi, che una forma aggiornata (e intelligente) di serena disperazione. Evita gli scoppi di ira, o quantomeno cerca di evitarli il più possibile – la rabbia non ti fa bene, lo sai, come non fa bene a nessuno – quel sollievo momentaneo è un danno, non è la cura. (Livelli sovrapposti di sofferenza psichica, il disagio in fondo viene sempre da lì: dal non sapere ciò che vuoi.) La musica certamente aiuta, così come i libri i film le immagini le idee che convergono e che si intersecano – ma soprattutto le persone che incontri, le persone con cui ami parlare e che ami tormentare, a modo tuo… Sei un manipolatore, fin da quando eri piccolo, lo sei sempre stato e sempre lo sarai – manipoli la gente, è la tua passione, cerchi di inserire pensieri tuoi nei cervelli altrui come in Inception – anche mentre scrivi, anche ora, stai facendo lo stesso – cerchi sempre di persuadere gli altri del tuo punto di vista, di convertirli – e questo rientra molto poco nello SPAZIO MATRIARCALE di nuovo conio. Per cui la salvezza, la cura è dare via l’io, dismettere per quanto possibile ioioio, questo egocentrismo che ti e ci distrugge, che ci distrae, che non ci permette di stabilire un vero contatto con l’altro, di ascoltarlo e di scoprirlo sul serio, di aprirci al mondo e alla realtà esterna come si deve – quando solo questa apertura è in grado di favorire la comprensione del presente, e di te stesso.
(Tutto questo si traduce in opere che rifiutano e smettono di essere tali – in opere che scelgono una condizione sospesa, di confine, in between tra arte e quotidianità, che stanno e esistono quasi come oggetti, semplici manufatti).

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Josefin Arnell, Grief (2019), Lily Robert Gallery, Parigi

Josefin Arnell, Grief (2019), Lily Robert Gallery, Parigi

Tu sei perfettamente in grado di imparare a pensare come una donna. Osservando le donne della tua vita, parlando con loro. Due anni fa, hai interrotto la serie di articoli Spazi matriarcali & altri scivolamenti dopo la quarta puntata appena perché ti sei accorto di non essere ancora pronto. Del resto, in questi ultimi anni hai capito benissimo che di fatto il pensiero femminile è l’unico modo per (egoisticamente) salvarsi – perché nel solipsismo e nell’egocentrismo maschili si crepa, e si crepa malamente. Soli e pazzi e tristi. Quella è davvero l’autodistruzione, in cui non c’è nulla di divertente – e io non voglio.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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