Il programma 2020 della Fondazione Alberto Peruzzo
Artribune ripropone come di consueto la sua inchiesta d’inizio stagione sui musei italiani. Come è andata la scorsa stagione? Come sarà la prossima? Oggi andiamo a Venezia e incontriamo il direttore Marco Trevisan
Come sta andando l’autunno dei musei italiani? Mentre saltano le fiere, nascono nuovi progetti di mercato e si attendono nuovi decreti, il mondo della cultura tira le somme di questo inizio autunno e si prepara alla prossima stagione. Con coloro che guidano questo mondo, direttori e presidenti, stiamo analizzando il prossimo futuro e l’estate 2020. L’inchiesta continua con le parole di Marco Trevisan, direttore della Fondazione Alberto Peruzzo, che festeggerà la prossima primavera con un grande progetto di riqualificazione. Ecco di cosa si tratta.
Come sarà questo autunno-inverno 2020 per il tuo museo?
La nostra Fondazione, come è accaduto per molte altre realtà culturali del paese, in autunno riprende dei progetti che aveva abbandonato in primavera causa lockdown. La messa a punto finale, invece, di un grande progetto che ci riguarda – la finalizzazione del restauro e l’apertura di una Chiesa sconsacrata, Sant’Agnese a Padova, che diventerà la casa della Fondazione – ha subito dei ritardi e slitta alla primavera.
Che aspettative hai?
Un modo forse più consapevole di vivere la cultura e gli eventi culturali, meno ‘io c’ero’ e più ‘io ho visto’.
Cosa invece ti preoccupa di più?
Che la cultura, dopo un inizio di lockdown nel quale è stata considerata da tutti come panacea e supporto, paghi invece lo scotto di una ripartenza dove esistono priorità economiche. Cioè, l’interpretazione del ruolo della cultura e dell’arte come consolatorio, ma non inserito in un contesto reale, dove tutto fa sistema e la cultura crea valore aggiunto, anche da un punto di vista produttivo. Spero, quindi, che si faccia più attenzione anche al ruolo di fondazioni come la nostra, non profit per statuto e per operato.
Che attività hai in programma?
Abbiamo una piccola ma significativa mostra che ha aperto il 22 settembre a Casa dei Tre Oci a Venezia: un progetto fotografico di Marco Maria Zanin, ‘Strati di tempo nella Chiesa di Sant’Agnese’. Zanin con la fotografia cerca di ridare senso e contesto alle stratificazioni nella società contemporanea, dove passato e presente si sovrappongono, e dove i frammenti hanno un ruolo decisivo nel processo di riformulazione della memoria. È un’occasione anche per cominciare a far parlare del progetto di restauro in via di conclusione. Da poco invece, ad Arte Sella, è stata inaugurata una videoinstallazione di Quayola, Jardins d’Eté, che vede la nostra collaborazione, dopo la mostra che abbiamo organizzato a fine 2019 all’Orto Botanico di Padova. Ci prepariamo, poi, per l’apertura della Chiesa in primavera.
Farai delle modifiche ai tuoi progetti iniziali per adattarli alla situazione in corso?
Il posticipo di tutto e il contingentamento sono stati gli adattamenti principali.
Quali pensi che saranno le sfide che i musei dovranno affrontare nel prossimo futuro?
Trovare nuove modalità di relazione con i propri visitatori, ma anche con la società in generale: meno rapporti mordi e fuggi, o una tantum, e più relazioni di senso. Questo passa per la consapevolezza del fatto che un museo deve essere percepito come un luogo vivo, inserito nel contesto e nel territorio, con il quale dialoga. Aperto alle forme artistiche in senso ampio, anche al digitale, e luogo di scambio di idee e di incontro, più che spazio statico da depredare. Ad esempio, meglio una membership che un biglietto d’ingresso, ma se si è riusciti a crearne le premesse. Ho visto che Brera sta andando in quel senso.
Quale è stata la cosa più bella da quando c’è stata la riapertura?
Vedere che comunque gran parte dei progetti e delle idee stanno ripartendo, al netto di qualche difficoltà strutturale di realtà come le fiere d’arte.
Cosa chiedi alla politica in questo momento comunque difficile?
Che si faccia un cambiamento di pensiero e di approccio, da ‘come il nostro paese può sfruttare meglio il proprio patrimonio artistico’ (insito nell’abusata frase ‘l’arte dovrebbe essere il petrolio del nostro paese’, che sottintende, appunto, poco altro che sfruttamento) a ‘come possiamo far sì che la cultura ci sia di aiuto e migliori le nostre vite’, non solo quindi come vendita di biglietti e di pacchetti turistici, ma scoprendo finalmente come l’arte, e la cultura in generale, possono avere impatti in campi quali la psicologia, l’urbanistica, la medicina, la fisica, l’economia stessa, etc. L’arte contemporanea si mette in relazione con vari campi della società, aiuta a comprendere (ad es. parlando di fisica ci può far immaginare mondi altrimenti poco percettibili, come nei lavori di Ikeda) e migliora la vita, oltre ad aprire le menti. Un paese come il nostro ne trarrebbe grande beneficio. Invece siamo impegnati a sottolineare – tutti, politici e non – come dovremmo ‘sfruttare’ di più, dimenticandoci che siamo uno dei paesi con il più basso tasso di fruizione della cultura, nelle sue varie forme. È un paradosso che non può esistere; allora bisognerebbe cominciare di nuovo ad educare all’ascolto e alla fruizione, e su questo la politica potrebbe fare molto.
Consigliaci un libro per accompagnare la stagione.
In questi tempi di difficoltà per chi ha un ruolo fondamentale nel sistema arte – le gallerie – consiglio ‘Leo Castelli. L’italiano che inventò l’arte in America‘, che ci fa tornare un pò a quando per fare i galleristi bisognava essere raffinati, colti e brillanti, a quando le intuizioni e i buoni contatti potevano bastare, a quando potevi frequentare quotidianamente Pollock, De Kooning, Warhol, Stella, Rauschenberg. Emerge come Castelli si adoperi per assicurare agli artisti una sicurezza economica e non esita a investire denaro nella produzione di opere poco commerciali. Riconosce i compiti educativi e didattici della galleria, confrontandosi con i musei. Un bel viatico di ripartenza.
– Santa Nastro
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