La città dietro l’immagine. Dalla Fase 1 al cinema
Guardare, spesso attraverso una finestra, è una delle azioni che stiamo compiendo più spesso in questi mesi difficili. Ma cosa implica l’osservazione? E quanto incide sulla realtà?
Nei mesi che sono passati sotto il nome di “Fase 1” abbiamo trascorso diverso tempo alla finestra con gli occhi rivolti verso l’esterno. Al di fuori la città, deserta, silenziosa, apparentemente immobile. Mi sono chiesto più volte cosa stesse cambiando là fuori seppur impercettibilmente proprio sotto il mio naso, e, ancora, quanto quella specifica condizione stesse influenzando ciò che vedevo.
DA MARK FISHER AD ALFONSO CUARÓN
Complice la lettura, avvenuta proprio nel medesimo periodo, del noto testo di Mark Fisher Realismo capitalista (2009), la mia posizione di voyeur di paesaggi urbani si è subito affiancata a quella di alcuni protagonisti di recenti film tra fantascienza e distopia. Il primo, ovviamente, è quello che offre a Fisher lo spunto per l’incipit del suo volume, Children of Men (2006) di Alfonso Cuarón. “Sarà il nostro unico sguardo sulla vita delle élite, rintanate lì dentro per proteggersi dagli effetti di una catastrofe”: sono queste le parole con cui il teorico britannico tratteggia una delle scene cardine del film che vede il protagonista Theo Faron dialogare con il cugino Nigel di fronte a una vetrata che incornicia una Londra inerte, nella quale però il genere umano si sta lentamente estinguendo. L’indifferenza che trasuda dalla posa delle due figure fa sembrare la veduta sul fondo una semplice quinta scenica, acuendo la distanza dalla tragica realtà riassunta nella battuta “I just don’t think about it”.
“L’ipotesi affascinante è che l’atto del guardare non solo influenzi, ma influisca sulla città, facendo sì che essa non rimanga un foglio di carta senza spessore”.
C’è un’altra finestra o, meglio, un finestrino dal quale improvvisamente è possibile scorgere lo stato delle città: è quello intorno al quale si affollano un gruppo di ribelli in Snowpiercer (2013) di Bong Joon-ho. Uno di loro, dopo i primi istanti di esitazione, esclama: “C’e ancora il cielo…”. Dietro lo skyline glaciale che il regista sudcoreano inquadra al centro dello schermo, tale affermazione sembra lasciare un barlume di speranza per la ripresa della vita in un mondo che, altrimenti, è visibile solamente da un treno in corsa.
SCOTT DERRICKSON E ITALO CALVINO
Le visioni fin qui riportate, anche se molto diverse fra loro, sono accomunate da una passività dello sguardo, oltre che da lampanti elementi iconografici. Per trovare una risposta attiva e dinamica è necessario includere in questo brevissimo elenco l’adattamento cinematografico del fumetto Doctor Strange (2016) di Scott Derrickson. In quest’ultimo caso gli osservatori sono scaraventati nella realtà (o nel suo specchio) che si trasforma letteralmente davanti ai loro occhi (e sotto i loro piedi) evocando la Moriana di Italo Calvino, che “da una parte all’altra […] sembra continui in prospettiva moltiplicando il suo repertorio di immagini”. L’ipotesi affascinante è che l’atto del guardare non solo influenzi, ma influisca sulla città, facendo sì che essa non rimanga un foglio di carta senza spessore.
‒ Claudio Musso
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #56
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