Un’epidemia di immagini. Monumenti e memoria nell’era post virus
Come sarà ricordato, attraverso monumenti e memoriali, il periodo epocale che stiamo vivendo? Fabrizio Federici ipotizza un profondo ritorno alla figurazione ed esiti fortemente tradizionali per rispondere a un evento così universale.
C’è da scommettere che una delle principali sfide in cui si cimenterà l’arte pubblica negli anni a venire sarà la commemorazione della pandemia che sta sconvolgendo il mondo nel 2020. Monumenti in ricordo delle vittime, monumenti agli “eroi”. Il monumento, a dire il vero, non gode di buona salute, e non da adesso (ci rifletteva su già nel 2010 la purtroppo ultima Biennale di Scultura di Carrara, dal titolo eloquente di Post monument).
Le vicende legate al movimento Black Lives Matter hanno dato un’ultima spallata a cippi e statue. È vero che in questo caso non si ha a che fare con mercanti di schiavi e giornalisti con spose bambine. Il tema è condiviso, e tuttavia il modo di affrontarlo in un’eventuale monumentalizzazione può sollevare polemiche: ricordare semplicemente le vittime o evidenziare le mancanze perché certe cose non si ripetano? Disastro naturale e inevitabile o ribellione del pianeta all’uomo? Come si può, da un lato, celebrare l’eroismo del personale medico e, dall’altro, non sostenere la sanità con politiche e fondi adeguati?
“Oggi, più che nell’intervento divino, si confida nella ricerca scientifica e nell’osservanza di alcune regole di comportamento”.
Se, dunque, di monumenti tradizionali se ne faranno ancora (già mi immagino la spugnosa sfera del virus che, gigantesca e bronzea, riluce al centro di una rotonda, nel traffico che non si arresta), più spesso si occuperanno lo spazio pubblico e la percezione dei cittadini in maniera meno invasiva, attraverso video, performance, installazioni. Quanto al linguaggio che verrà adottato, possiamo dedurre, dalle immagini circolate nei mesi scorsi e dalle statue e dai memoriali che si stanno già progettando ed erigendo, che l’aspetto delle opere sarà in larga parte molto tradizionale e molto (troppo) comunicativo, con la figurazione a farla da padrona e l’infermiere e, soprattutto, l’infermiera come personaggio più ricorrente. Una scelta “di retroguardia” appare, per certi versi, inevitabile: da decenni il mondo non conosceva un fenomeno di tale portata universale, che riguarda tutti; e a tutti l’arte sembra volersi rivolgere, correndo il rischio di apparire scontata.
DALLA RELIGIONE ALLA SCIENZA
Nel passato, invece, la costruzione di monumenti ed edifici legati a epidemie assumeva spesso vesti innovative: pensiamo alle rutilanti guglie note come “colonne della peste” che ancora si levano in numerose città dell’Europa centrale, o a capolavori architettonici nati per adempiere un voto, come i templi veneziani del Redentore e della Salute. Non si tratta però di monumenti intesi a ricordare un dramma e le sue vittime, quanto piuttosto di atti di ringraziamento alla divinità per aver posto fine alla tragedia. Oggi, più che nell’intervento divino, si confida nella ricerca scientifica e nell’osservanza di alcune regole di comportamento; e tuttavia la Chiesa ha dimostrato di non aver perso la sua capacità di dare vita a immagini potenti, come testimonia in particolare la preghiera che Papa Francesco ha rivolto a Dio, in una Piazza San Pietro deserta, sotto un cielo fosco, lo scorso 27 marzo.
‒ Fabrizio Federici
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #22
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