Fase Tre (IV). Crisi e rinascita
“Questa crisi – ogni crisi – porta con sé le condizioni del nuovo. Della rinascita. Ricostruire è un gesto traumatico: vuol dire ricominciare da zero, dopo la cancellazione del precedente”. Le riflessioni sull’oggi di Christian Caliandro.
7 novembre 2020. Non si può creare qualcosa di nuovo rimanendo all’interno del sistema precedente: il condizionamento è troppo forte, il cambio di paradigma è impossibile se il tuo linguaggio, il tuo intero modo di pensare e di vivere è strutturato attorno al sistema precedente. Per immaginare, e praticare, un vero cambio di paradigma occorre esistere/pensare/parlare/operare già all’interno del paradigma nuovo.
Paradosso: come fai a creare-costruire il paradigma, se per farlo è necessario abitarlo, vivere al suo interno, esistere in base alle sue condizioni? Questo paradosso individua il funzionamento e la funzione principale dell’arte: creare-costruire il nuovo piano di esistenza mentre lo si abita già (mentre si scivola su di esso), e abitarlo mentre lo si crea-costruisce.
“Io scrivo la mia via di fuga”: l’opera è la cura: l’opera costituisce la via di fuga, l’exit strategy, il piano nuovo di esistenza e il paradigma che non c’era.
È l’unica piattaforma in grado di fare questo: visione/visionario; immagine/immaginario.
“Bisogna continuare, non posso continuare, e io continuerò” (Samuel Beckett, L’innominabile, 1953).
“La bellezza vera è quella che si determina quando siamo spinti ad alzarci contro il sopruso. Chi si alza cerca una immagine nuova. Se non cerca una immagine nuova vuol dire che non si è alzato. Noi abbiamo perso le nostre immagini perché non ne abbiamo prodotte altre. Non dobbiamo abbandonare i luoghi, dobbiamo sempre cercare le nostre immagini” (Tano D’Amico, via Emilia Giorgi).
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9 novembre 2020. Mia madre. C’è una sua foto qui, sul caminetto, nella villa di Borgo Pineto: è la fine degli Anni Ottanta, lei indossa gli occhiali da sole e ha la mia età. Quaranta, quarantuno anni: le rimangono poco più di vent’anni da vivere, e in questa immagine non lo sa. Sono circondato, qui e a Bari, dai suoi oggetti. Contenitori, brocche, vasi, portavasi… Alcuni glieli ho regalati io…
Le fotografie di quando eravamo bambini e adolescenti, io e mio fratello – il modo in cui il tempo si distorce e si allunga, durante questi lockdown – e in cui il passato torna a galla, più vivido di prima – più vivido che mai.
10 novembre 2020. “C’è nell’intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l’esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male. È questo, prima di tutto, che è sacro in ogni essere umano. Il bene è l’unica fonte del sacro” (Simone Weil, La persona e il sacro, in Morale e letteratura, ETS, Pisa 1990, p. 38).
Perché vengano fuori idee forti, interessanti e rilevanti è necessaria una condizione di crisi, di privazione e di scarsità. Nulla di fondamentale esce oggi da un contesto prospero, ricco. Questa crisi – ogni crisi – porta con sé le condizioni del nuovo. Della rinascita. Ricostruire è un gesto traumatico: vuol dire ricominciare da zero, dopo la cancellazione del precedente. Comporta la perdita, e il senso di perdita – comporta che tu vedi, con i tuoi occhi, l’erosione e l’estinzione di un’intera cultura negli occhi degli altri.
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Le mosche – le mosche che invadono il patio di dietro – che volano dappertutto – with the flies – e noi… noi dobbiamo proteggerci – nella pandemia – nel contagio – queste idee e questi pensieri che confliggono – che volano da tutte le parti come le mosche – with the flies – nessun posto dove raggiungerti, nessun posto dove rifugiarsi, nessun posto dove nascondersi – solo una vita da vivere – senza di te – con il mondo – esistere è fuori da te, esistere è indipendente da te – la vita, cioè, vive al di fuori di te, vive attraverso te – come le mosche (with the flies) – una pagina dopo l’altra, un giorno dopo l’altro – e il tuo compito è registrare questo flusso continuo, questa caduta perpetua – (come la caduta in diagonale degli atomi in Lucrezio) – … – un funerale di mosche, sono tutte raccolte attorno al cadavere di una di loro su un listello del tavolo, qui nel patio di dietro – certe cose sono fisse, costanti, immutabili – raccolte davanti al cadavere della loro amica, che una volta era lì e adesso non c’è più… – e adesso… e adesso, nella pandemia, nel contagio, stiamo evolvendo senza neanche accorgercene, la mutazione avviene (silenziosamente) – senza il nostro consenso –
… non è il cadavere di una mosca quello sul tavolo, ma un pezzo di popcorn.
‒ Christian Caliandro
LE PUNTATE PRECEDENTI
Fase Tre (I). L’opera e la realtà
Fase Tre (II). Essere l’altro
Fase Tre (III). La paura e gli interstizi
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