Arte, restauro e morte. Come le opere sopravvivono al tempo
Un focus sui legami tra opera d’arte e caducità del tempo attraverso la lente del restauro. Una riflessione che intreccia creatività, materiali e tecniche di conservazione a partire da un ciclo di approfondimenti ospitati dalla Casa del Mantegna a Mantova.
Questo il tema di un appuntamento della rassegna intitolata Alla fine dei conti e promossa dall’associazione culturale Aretè presso la Casa del Mantegna a Mantova. Rassegna di cultura ideata e condotta da Elena Alfonsi con il gruppo TEA S.P.A.: un ciclo di incontri da gennaio a maggio che parla di vita e di morte, che indaga e riflette su tutti gli aspetti della cultura in relazione alla morte.
In particolare questo articolo si focalizza sull’appuntamento dal titolo Conservare l’arte e thanatos che, a causa della pandemia, si è svolto in assenza di pubblico.
L’idea alla base è indagare il rapporto esistente tra l’arte, la sua conservazione e la morte. A primo acchito può apparire insolita, eppure, provando a pensare al lavoro della conservazione e restauro con prospettive differenti, si possono intuire, vedere intersezioni culturali di non immediata lettura. Presto si realizza che i contatti, le affinità e i collegamenti tra l’arte nelle sue molteplici manifestazioni e la morte non solo esistono, ma sono più numerosi di quanto si possa immaginare. Il collegamento tra la manifestazione artistica e thanatos è plurimo e multiforme, e anche l’aspetto più specifico del restauro ha altrettanti collegamenti con thanatos. Potremmo partire dall’assunto presupposto che l’arte è legata a doppio filo alla morte; la racconta o la celebra, con linguaggi narrativi verosimili oppure simbolici. L’aspetto forse più affascinante è che l’arte è legata alla morte tanto quanto alla vita con una modalità assolutamente priva di pregiudizio, poiché nell’arte e all’arte tutto è concesso.
L’espressione artistica osa affrontarne ogni tematica superando le reticenze che nella cultura contemporanea hanno reso complesso il rapporto tra vita e morte. Non sappiamo se per l’audacia tipica dell’arte o per la “compliance”, ma l’arte sopravvive alla morte stessa. L’arte sopravvive all’artista che la genera e dura a lungo nel tempo. Se pensiamo alla vita media di un’opera d’arte, anche la più fragile, comprendiamo essere di gran lunga superiore alla vita degli esseri umani e già questo dice molto del rapporto tra arte, vita e morte.
CONSERVAZIONE, ARTE E RESTAURO
L’aspetto dell’arte che coinvolge la disciplina della conservazione e restauro è l’aspetto della conservazione materiale delle opere d’arte. L’obiettivo di conservare l’opera d’arte nel tempo nel suo aspetto materiale. In una dimensione vitale.
Partendo dal presupposto che l’arte si esprime attraverso l’elaborazione sapiente della materia, per lo stesso assioma, letto in maniera inversa, la materia che ci attornia attraverso mani sapienti e menti creative diviene arte. Questa premessa è doverosa perché l’arte, soprattutto quella antica, è spesso costituita nella sua essenza fisica da materie semplici, materie prime tratte dalla natura. In fondo, se si escludono i materiali di sintesi, anche il mondo che ci circonda è costruito a partire da materie prime naturali piuttosto semplici, reperibili in natura. Considerazioni che possono valere per tutta l’arte dai secoli più remoti sino a gran parte dell’arte recente, tranne che per certi filoni dell’arte contemporanea i cui supporti per le espressioni artistiche meriterebbero un discorso a parte, poiché possono essere videoregistrazioni, audio o supporti immateriali. Tuttavia, pur nella specificità del mezzo espressivo, anche in quel caso potremmo individuare lo stesso sapiente presupposto di gestione dello strumento virtuale anziché della materia.
In definitiva i manufatti artistici hanno una vita che, seppur più lunga di quella umana, ha comunque un tempo più o meno prevedibile. La disciplina del restauro ha come obiettivo principale la cura e la conservazione dei manufatti nella loro essenza materiale, ha la finalità di allungare la vita della materia che compone le opere d’arte.
Il concetto di cura e conservazione delle opere d’arte è piuttosto complesso e coinvolge discipline umanistiche e scientifiche allo stesso tempo, l’utilizzo di materiali della tradizione e sperimentazione degli ultimi ritrovati delle innovazioni tecnico scientifiche.
Per semplificare potremmo individuare una duplice componente dell’azione conservativa di un’opera: una pertinente alla sfera umanistica, quella attinente all’ambito concettuale che definisce l’obiettivo, il fine e le caratteristiche estetiche dell’intervento conservativo. E un’altra, la seconda, quella scientifica, che stabilisce il percorso e le modalità conservative dell’intervento partendo dalla specifica e peculiare materia che compone l’opera. Per affrontare questo secondo aspetto dovremmo entrare in dettagli che attengono alla sfera della chimica e della fisica, della compatibilità tra i materiali antichi e quelli contemporanei ed esplicare il concetto basilare della reversibilità dell’intervento di restauro.
In sostanza il restauro è una continua lotta ideale tra bene e male; si tratta di una disciplina piuttosto recente, una materia dove nulla è chiaro, palese e scontato, una disciplina che richiede metodo, attenzione e studio. Flessibilità nel modificare l’atteggiamento e il percorso a seconda delle esigenze specifiche che il singolo caso potrà porre.
Per fare un esempio, conservare un manufatto deve consentire la vita dello stesso e dovrà perciò evitare che gli interventi divengano “mummificazioni”. Premesso che il restauro, come ogni attività e disciplina umana, è soggetto alle mode e a variazioni di atteggiamento conservativo.
ARTE FUNERARIA E CIMITERI
Per addentrarsi nel tema specifico del rapporto tra arte, conservazione e morte, non si può prescindere dal fare una riflessione sull’arte funeraria. L’arte funeraria è in parte legata alla sepoltura e in parte alla celebrazione o narrazione dell’evento luttuoso. L’arte funeraria di cui si è occupato l’evento Conservare l’arte e thanatos è quella legata alla sepoltura, con la rete culturale che essa rappresenta. L’arte della sepoltura esprime il retaggio culturale, la religione e la cultura locale. Salvo casi eccezionali, è costretta in piccole espressioni per dimensione e luogo, per questo predilige spesso il linguaggio simbolico. E anche in casi di narrazioni figurative, queste ultime sono arricchite o comunque non prescindono da elementi simbolici.
L’arte funeraria è soggetta a una rapidissima e costante mutazione ed evoluzione: dai popoli primitivi che raccoglievano i loro morti nelle necropoli agli egizi che costruivano ricche piramidi lontanissime dalle città. Fino ai romani che seppellivano con maggiore libertà, ma comunque fuori dalle città. Poi nel Medioevo tutto si concentra e raccoglie. Le sepolture si trasferiscono in centro, vicino alla vita della comunità, sotto alle chiese i defunti più facoltosi, attorno a esse gli altri. Solo all’epoca dei lumi e con il successivo Editto di Saint Cloud del 1804 si sancisce l’inizio delle leggi di igiene e polizia mortuaria di stampo moderno. Da lì è stato un susseguirsi di evoluzioni legislative e normative, che hanno indirettamente indirizzato e influenzato l’espressione dell’arte funeraria. Ognuna di queste norme incide sulla modalità di celebrare la morte attraverso l’arte. I nostri cimiteri storici, salvo eccezioni, sono per lo più ottocenteschi, poiché successivi all’Editto di Saint Cloud, che peraltro non fa che raccogliere le singole normative dell’impero austroungarico o altri piccoli Stati in sede locale.
Risulta importante annotare come l’arte funeraria divenga documento storico: a tutti è noto quanto l’arte funeraria, le necropoli e le sepolture abbiano costituito un documento storico utile a conoscere, contestualizzare, collocare eventi storici e intere civiltà. Se non vi fossero le sepolture, le necropoli e l’arte funeraria antica non avremmo conoscenza di intere civiltà. Spesso il progetto stesso del cimitero, che potremmo considerare come un’opera architettonica pubblica, “contenitore” per altre opere private “contenuto”, viene snaturato negli anni dall’evoluzione delle leggi e delle norme di polizia mortuaria che perfeziona costantemente modalità di sepoltura inducendo trasformazioni continue al contenitore cimiteriale. Per questo motivo spesso i cimiteri storici hanno subito molteplici variazioni negli anni e la conseguente perdita di opere d’arte.
Ciò è dettato anche dalla dinamica delle normative in materia di igiene e polizia mortuaria che è stata spesso in contrasto con le normative sulla tutela e conservazione dei beni d’interesse storico-artistico. Il tutto poiché la durata di una sepoltura è relativamente breve rispetto alla vita delle opere che la celebrano. Potremmo affermare che sino agli Anni Ottanta del Novecento la prevalenza è stata delle leggi di igiene pubblica sulle leggi di tutela del beni culturali. In tempi più recenti le normative di tutela dei beni culturali hanno affermato la necessità di conservazione delle opere e monumenti legati all’arte cimiteriale. Ne sono derivate situazioni di mediazione e coesistenza tra aspetto tecnico delle sepolture e aspetto conservativo degli ambiti cimiteriali storici.
Nei cimiteri storici, per ovvie ragioni conservative, troviamo spesso opere decorative, simboliche o celebrative in materiale resistente, come le sculture in materiale fittile, lapideo o metallico. Opere realizzate dall’artista con l’intento specifico di avere una lunga durata nel tempo. Opere d’arte che celebrano e parlano della morte, ma che hanno la finalità di sopravvivere a lungo e a essa fuggire.
‒ Silvia Conti
www.casadelmantegna.it/alla-fine-dei-conti-2021.html
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