49 artiste nel segno di Carla Lonzi. La mostra alla Galleria Nazionale di Roma
Riunisce quasi cinquanta artiste la mostra allestita alla Galleria Nazionale di Roma – attualmente chiusa per effetto della pandemia. Da Carol Rama a Elisabetta Benassi, un omaggio alla critica d’arte Carla Lonzi, fondatrice del primo collettivo femminista italiano.
Nell’estate del 1970, insieme alla giornalista Elvira Bannotti e all’artista Carla Accardi, la critica d’arte Carla Lonzi fonda il primo collettivo femminista italiano, dopo aver pubblicato, solo pochi mesi prima, un testo fondamentale come Autoritratto, dove gli artisti, per la prima volta, si esprimono in prima persona e mettono sul tavolo le istanze più urgenti dell’epoca. Tra le quali la difficile condizione delle donne artiste, descritta dalle parole di Carla Accardi in una conversazione con la Lonzi nel 1966: “L’arte è sempre stata il reame dell’uomo. Noi, nello stesso momento in cui entriamo in questo campo così maschile della creatività, il bisogno che abbiamo è di sfatare tutto il prestigio che lo circonda e che lo ha reso inaccessibile”. Potrebbe essere questo l’incipit dell’interessante mostra collettiva Io dico Io ‒ I say I, allestita alla Galleria Nazionale di Roma e curata con perizia e rigore da Cecilia Canziani, Lara Conte e Paola Ugolini, con il supporto di Dior. “La mostra riunisce artiste italiane di generazioni diverse che in differenti contesti storici e sociali hanno raccontato la propria avventura dell’autenticità, restituendo attraverso una costellazione di visioni il proprio modo di abitare il mondo”, spiegano le curatrici, che hanno riunito le opere di 49 artiste per costruire una narrazione basata “su una sola moltitudine, che risuona di consonanze e dissonanze”.
LA MOSTRA IO DICO IO A ROMA
Il percorso espositivo coinvolge l’intero museo, dal Salone Centrale alle sale del primo piano, raggiungendo il suo apice nella sezione dedicata all’archivio personale di Carla Lonzi, con materiali e immagini originali pubblicati nella prima edizione di Autoritratto. Situata al secondo piano della Galleria, è forse quella che restituisce meglio l’intimità necessaria per osservare le opere della mostra, tra le quali spicca Senza titolo (1985), un grande dipinto di Marisa Merz, presente con altri due lavori storici e altamente significativi, come il video La conta (1967) e Altalena per Bea (1968). Due sale nello stesso piano ospitano le opere ispirate a Carla Lonzi e commissionate per la mostra a due artiste: Chiara Camoni ha realizzato Sisters, quattro grandi figure in argilla ispirate ad altrettanti documenti, mentre Alessandra Spranzi si è ispirata a una foto di Lonzi seduta al tavolo di lavoro per produrre una serie di collage e un video. La terza artista che ha ricevuto la commissione è la pittrice Maria Morganti, le cui intense opere monocrome sono esposte nel salone centrale, in compagnia di alcuni dei lavori più importanti della mostra, come Origine (1976-2007) di Carla Accardi ‒ una delle artiste più vicine alle idee femministe della Lonzi ‒ che, puntualizza Paola Ugolini, “indaga la dimensione domestica come spazio creativo femminile contrapposta all’architettura e agli spazi pubblici, da sempre connotati come territori maschili”.
LE ARTISTE E CARLA LONZI
Imponente nella sua fragilità l’opera Cronoprogramma 72 (1972) di Renata Boero, in dialogo ideale con alcune sculture più brutali come Fleurs du mal (pink) (2019) di Monica Bonvicini o Autoritratto al lavoro (2016) di Elisabetta Benassi, mentre altre opere si muovono in una dimensione più meditativa, come Distrazioni (2000) di Daniela De Lorenzo o Giovanna e la luna (1996), capolavoro di Liliana Moro. Da non perdere i primi provocatori acquarelli di Carol Rama degli Anni Quaranta, le due sculture di Antonietta Raphael, antesignana dell’arte al femminile accanto al marito Mario Mafai, il poetico video di Grazia Toderi Zuppa dell’eternità e luce improvvisa (1994) e la magica Installazione con specchi (1967) di Ketty La Rocca. In questa panoramica transgenerazionale così ampia e significativa, preceduta dalla monumentale installazione di Marinella Senatore Remember the first time you saw your name (2020), sarebbe stato importante vedere le opere di Eva Marisaldi e Lara Favaretto, due protagoniste dell’arte italiana con linguaggi espressivi vicini al mondo di Carla Lonzi, nume tutelare di una mostra collettiva frutto di una lunga e profonda ricerca, che sottolinea il valore artistico e culturale dell’altra metà dell’avanguardia.
‒ Ludovico Pratesi
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