Piero Simondo e la vera storia del Situazionismo
Quando si nomina il Situazionismo si pensa a Guy Debord e alla Francia, eppure un paesino del Ponente ligure e un certo Piero Simondo hanno giocato un ruolo fondamentale, poi volutamente dimenticato dalla storia. Il filosofo Marco Senaldi riavvolge il filo della vicenda.
Da anni prendo in giro i miei amici con la fatidica domanda: “Sai che cosa è successo a Cosio d’Arroscia?”, a cui la stragrande maggioranza (parlo di artisti, scrittori e intellettuali) mi oppone una faccia interrogativa. Fino a che non salta fuori il più sveglio del gruppo che ti dice: “Ma certo! Nel 1957 lì è nata l’Internazionale Situazionista!” – e tutta la compagnia ci resta di stucco…
Eppure è proprio così: in una leggendaria estate del 1957, a Cosio d’Arroscia, un ameno paesino arrampicato su per le valli del ponente ligure (che oggi conta, se Wikipedia non mente, la bellezza di 193 abitanti), sarebbe nata, da un pugno di eroi, l’ultima e forse più influente fra le avanguardie del XX secolo: il Situazionismo.
Il fatto è che il parigino Guy Debord, la sua compagna Michelle Bernstein, l’antimilitarista inglese Ralph Rumney, il farmacista Pinot Gallizio, l’artista apolide Asger Jorn e il musicista Walter Olmo, si trovarono a Cosio non per caso, ma invitati lì da Piero Simondo e dalla moglie, Elena Verrone. I Simondo, infatti, non erano intellettuali provinciali, ma creativi cosmopoliti capaci di straordinarie iniziative, come il Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista (1955) o il Congresso degli Artisti Liberi, tenutosi ad Alba l’anno dopo (1956). Tutti eventi, dibattiti, idee, che hanno anticipato temi, e persino termini, poi ripresi sic et simpliciter, dal Situazionismo “francese”.
PIERO SIMONDO E IL SITUAZIONISMO
Ora, l’idea che è passata a livello popolare è che quei primi esperimenti fossero solo incerti tentativi, poi “sussunti” nella folgorante ascesa del Situazionismo, sotto l’impeto della mitica personalità di Debord. Tuttavia, se si leggono attentamente gli interventi, le interviste, i testi che Simondo ha fornito negli anni successivi, le cose parrebbero essere andate in modo molto diverso. Debord non fu l’unico e indiscutibile fondatore dell’I.S., e se lo diventò fu solo perché, pochi mesi dopo l’incontro di Cosio, espulse senza complimenti Simondo, la moglie e Olmo dal movimento che avevano fondato insieme. Praticamente, un vero coup d’état: condotto con quell’accento spaventosamente burocratico e insopportabilmente pedante, che denuncia il nocciolo ferocemente settario di Debord e della “sua idea” di situazionismo.
Da allora, come in seguito a una “purga” dittatoriale, la figura e l’opera di Simondo sono state cancellate dal dibattito culturale, e in Italia, dove siamo specialisti del Nemo propheta in patria, solo in anni recenti la critica ha iniziato un lento processo di rivalutazione. Troppo tardi però: in silenzio, come aveva vissuto, Simondo ci ha lasciato il 6 novembre scorso.
Eppure, la statura di Simondo come pensatore e artista è ancora tutta da comprendere appieno – e potrebbe rivelarsi, oggi, persino più interessante di quella dell’ex-amico francese. Se infatti La società dello spettacolo, il testo-totem di Debord del ‘67, ci pare aver descritto così bene una certa deriva sociale iniziata a metà del Novecento, l’emergenza in cui ci troviamo ora evidenzia dei tratti completamente diversi.
“A Cosio d’Arroscia, un ameno paesino arrampicato su per le valli del ponente ligure, sarebbe nata, da un pugno di eroi, l’ultima e forse più influente fra le avanguardie del XX secolo: il Situazionismo”.
La pandemia che stiamo vivendo, questa sì, è una vera situazione: ed essa ha meno a che fare con la dialettica dello spettacolo che con un problema oggi ancor più scottante, che è quello della “spazialità”. Infatti, dal distanziamento sociale alla locatività neomediale, dalle frammentazioni geopolitiche alla suddivisione “zonale”, dal blocco degli spostamenti alla connectography, qualunque nostra azione oggi passa per lo spazio, reale o virtuale che sia. E là dove Debord non riesce a emanciparsi dallo schema marxiano, e nemmeno dal gergo sovietico, Simondo, che era uno studioso di geometrie non-euclidee e di Poincaré, risponde con la topologia.
In altri termini, mentre lo (pseudo) materialismo debordiano trionfava, tra mostre, retrospettive, convegni, e Opera Omnia da Gallimard, Simondo ha dischiuso – standosene scrupolosamente in disparte – una genealogia alternativa del situ-azionismo, restituendo al termine il senso originario di azione in situ, cioè “situata nello spazio”.
E, a quanto pare, nel pieno del XXI secolo, proprio la sua versione è quella che si dimostra più vitale e contemporanea rispetto alla variante francese, ormai inaridita nelle secche ideologiche del Novecento.
‒ Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #58
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