Cosa accade nel nostro cervello quando osserviamo un’opera d’arte?
Quali sono i meccanismi e le parti del nostro cervello che si attivano quando osserviamo un quadro, una scultura o assistiamo a una performance? La risposta dalla neuroscienza
Le indagini neuroscientifiche che hanno cercato e cercano tuttora di chiarire la “questione estetica”, tentando di identificare i correlati neurali coinvolti nella visione della bellezza, utilizzano tecniche sempre più complesse ed avanzate. I risultati finora prodotti sono molto eterogenei anche perché lo studio dei meccanismi neurali alla base della risposta cerebrale alle opere artistiche e della conseguente esperienza estetica, è una questione molto complessa. Ecco quattro macro-aree che, secondo le neuroscienze, si attiverebbero maggiormente in risposta alla visione di un quadro, di una scultura o di una performance artistica.
– Marta Pizzolante
IL NETWORK DELL’INTROSPEZIONE: IL DEFAULT-MODE-NETWORK
Una visione complessiva dei risultati suggerisce che l’esperienza estetica è caratterizzata dall’attivazione di aree senso-motorie, centri emotivi e aree legate alla ricompensa. Quando un soggetto è nel bel mezzo di un giudizio estetico, è probabile che siano coinvolti anche processi cognitivi come l’immaginazione e la memoria autobiografica. Questi processi possono provocare l’attivazione del cosiddetto Default-Mode-Network (DMN), una rete cerebrale che si ipotizza supporti i processi introspettivi (Buckner et al., 2008). Ti sei mai chiesto cosa succede nel tuo cervello quando inizi a immaginare cosa sarebbe accaduto se invece di accettare quell’offerta lavorativa tanto allettante, l’avessi rifiutata? O quando, guardando per la decima volta quel film che ti piace tanto, provi a pensare a come sarebbe la tua vita se tu fossi uno dei suoi protagonisti? Il cervello, apparentemente “a riposo”, non è infatti spento. Anche quando siamo immobili e cerchiamo di svuotare la nostra mente, il sangue continua a circolare poiché il nostro cervello è comunque in attività e utilizza ossigeno. E per assurdo, nel Default-Mode-Network, più ci sforziamo di non pensare a nulla, più c’è attività. I ricercatori hanno ipotizzato che l’elevata attivazione di questo network a “riposo”, rifletta l’elaborazione autoreferenziale: pertanto, hanno concluso che questa rete sia lì per garantire sempre una sorta di controllo su ciò che sta accadendo intorno a noi ma che ha un impatto dentro di noi. Il DMN sembrerebbe essere maggiormente attivo quando ciò che svolgiamo dirige la nostra attenzione lontano dagli stimoli esterni e concentra il focus interiormente. Ad esempio, quando siamo impegnati in pensieri autoriflessivi e valutazioni di giudizio che dipendono dal contenuto sociale ed emotivo dello stimolo. Quando meditiamo, pratichiamo yoga o semplicemente, “viaggiamo” con la mente. E cosa, più di un prodotto artistico, è in grado di elicitare questo processo?
LE AREE DELLA VISIONE: TUTTO PARTE DALL’OCCHIO
Tutti gli studi sulla visione sono stati fondamentali per comprendere l’esperienza estetica per due ragioni; uno, perché l’esperienza estetica di un’opera d’arte inizia con un’analisi visiva dello stimolo, e due, perché l’occhio, oltre al cervello, essendo un organo complesso, ha una vita separata e autonoma. Dalla pupilla al nostro telencefalo, il percorso è lungo e le variabili che intervengono, potenzialmente infinite: è fondamentale capire come quell’immagine di realtà che catturiamo con il nostro sguardo riesca a raggiungere le aree del cervello, dove è sottoposta a elaborazioni sempre più complesse. Che si attivino aree della visione, nella zona occipitale del nostro cervello, in risposta a degli stimoli visivi, è quindi, scontato. Ma che ci possano essere lievi differenze nell’attivazione di queste aree tra donne e uomini (le cosiddette gender-related differences) in risposta a stimoli estetici, è quantomeno sorprendente. Lo ha ipotizzato e dimostrato uno studio di Cela-Conde e colleghi (Cela-Conde et al., 2009), utilizzando un insieme di quadri rappresentati figure umane o oggetti naturali, suddivisi in cinque gruppi: arte astratta; arte classica; arte impressionista; post-impressionista e fotografie di paesaggi, manufatti, scene urbane o rappresentazioni di vita reale. Attraverso la magneto-encefalografia (MEG), è stata dimostrata un’attivazione maggiore per stimoli giudicati belli contro quelli giudicati “brutti” in aree leggermente differenti ma sempre appartenenti alla corteccia visiva, bilaterali (cioè localizzate su entrambi gli emisferi cerebrali) per le donne e lateralizzate nell’emisfero destro per gli uomini. Curioso, no?
LA SIMULAZIONE INCARNATA: UN QUADRO “DINAMICO” ATTIVA LE AREE MOTORIE?
Le aree senso-motorie del cervello sembrano essere particolarmente coinvolte durante la contemplazione di un quadro in quanto è stato recentemente proposto che un elemento cruciale dell’esperienza estetica delle opere d’arte consista nell’attivazione della “simulazione incarnata” di azioni, emozioni e sensazioni corporee, e che questi meccanismi siano universali (Di Pellegrino et al., 1992; Gallese et al., 1996). Secondo questa ipotesi, la simulazione incarnata dell’esperienza estetica, appunto, consta di due componenti. La prima permette all’osservatore di entrare in empatia con il quadro che sta osservando e quindi tratta della relazione diretta che si crea tra l’osservatore stesso e il contenuto rappresentato (le azioni, le intenzioni, oggetti, emozioni e sensazioni ritratte in un dato pittura o scultura). Secondo questa componente quindi, se osserviamo un quadro di Giovanni Segantini, il pittore della montagna, in cui è ritratta una giovane donna intenta a raccogliere del fieno, si attiverebbero quelle aree motorie del cervello che ci permettono in prima persona di compiere quell’azione. La seconda componente della teoria riguarda la relazione tra osservatore e le tracce visibili della creatività dell’artista che ha prodotto quel quadro. Cosa vuol dire? Che il taglio di Lucio Fontana o la tecnica del dripping, o sgocciolamento di colore, di Pollock eliciteranno nello spettatore la simulazione mentale del gesto che l’artista ha compiuto per la realizzazione dell’opera, attivando sempre le aree motorie corrispondenti.
LE EMOZIONI ESTETICHE: IL CIRCUITO LIMBICO
Le emozioni sono da sempre l’oggetto di ricerca più difficile da testare in un laboratorio scientifico. L’artificiosità del setting sperimentale rende l’indagine delle stesse una vera sfida per ogni ricercatore ma anche per un soggetto sperimentale in quanto l’analisi delle emozioni richiede l’espressione di un giudizio esplicito da parte del partecipante in relazione ad uno stimolo: “sono felice”, “mi sento triste”, “sto provando paura”. Un tentativo per ovviare a questo problema è stato fatto da Di Dio (Di Dio et al.,2007) in uno studio di risonanza magnetica funzionale. Sculture classiche e rinascimentali sono state presentate ai partecipanti in due versioni: originali e proporzionalmente modificate. La caratteristica distintiva di questo studio è stato quello di consentire ai partecipanti di osservare le immagini senza esprimere alcun giudizio esplicito. Nel tentativo di indurre gli atteggiamenti estetici impliciti richiesti, ai partecipanti è stato chiesto di esaminare le immagini come se fossero in un museo mentre il loro cervello viene esaminato attraverso la risonanza. I risultati hanno mostrato che l’osservazione di sculture originali, rispetto a quelli modificati, attivano strutture che si trovano sotto la corteccia, molto importanti per l’elaborazione delle emozioni, tra cui l’insula. Questa piccola parte del cervello insieme al circuito limbico, che consta di ippocampo, amigdala e ipotalamo rappresenterebbero una parte dell’anatomia del nostro complesso “cervello emotivo” e sarebbe responsabile nell’elaborazione delle componenti emotive dell’esperienza estetica.
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati