Fuoriuscita (I). L’arte aperta

Prende il via la nuova serie di mini saggi di Christian Caliandro, dedicata al tema della fuoriuscita. Si parte con l’esempio, umano e critico, di Carla Lonzi.

Fuoriuscita dagli spazi fisici e mentali, istituzionali e culturali, dedicati all’arte: la fuoriuscita ricollega l’arte al mondo e alla vita, abbracciando luoghi e persone, opere. Fuoriuscita vuol dire innanzitutto che un’arte sfrangiata, smagliata, aperta, un’opera propensa a fondersi e inoltrarsi, ha bisogno necessariamente di un altro tipo di spazio – sia pubblico che privato, domestico – e soprattutto di un altro tipo di interazione e di incontro con gli individui.

CARLA LONZI, L’ARTE E IL FEMMINISMO

Ripartiamo in questo senso da Carla Lonzi e dal suo percorso di scoperta lungo gli Anni Settanta: se in Autoritratto (1969), infatti, si era identificata con l’artista e con la sua creatività, nel periodo successivo riflette dolorosamente sulla finzione di questo processo di liberazione, parallelamente all’approfondirsi e all’ampliarsi del proprio femminismo. Riconosciamo l’evoluzione del suo pensiero nei testi diaristici, sempre ricavati da registrazioni, di Taci, anzi parla. Diario di una femminista (1978) e Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra (1980): in particolare in quest’ultimo, il racconto della fine della relazione sentimentale con l’artista si intreccia con le motivazioni più profonde, che riguardano la progressiva sfiducia nei confronti delle modalità con cui l’arte occupa il suo posto e svolge la sua funzione all’interno della società.
Mentre all’inizio, dunque, la coercizione era identificata nel linguaggio della critica, adesso essa viene riconosciuta stabilmente nel rapporto che l’opera e il suo autore stabiliscono, una volta per tutte, con lo ‘spettatore’, che viene costretto in un ruolo e in una posizione che per loro natura escludono la verità e l’autenticità di un rapporto: “Mi sembra che la cultura tende ad aggregare degli sconosciuti su elementi esteriori a ciascuno. Anche l’arte tiene la gente lì a bocca aperta, a proiettarsi in quello che le viene proposto proprio nell’attesa del Babbo Natale. Non lo sentivo più come un fattore spirituale, ma come un mezzo della società per permettere ai suoi membri di unirsi senza neanche guardarsi in faccia e sentirsi ugualmente insieme dentro la cultura, una società, dei valori. Con la sfiducia, propria della società, sul piano dei rapporti. Mentre il piano della relazione persona a persona funziona nell’ambito privato e basta. Sul piano sociale è stato negato, la società si è costituita attraverso un altro tipo di contratto che non è quello della verità reciproca” (19-20).

Fuoriuscita vuol dire innanzitutto che un’arte sfrangiata, smagliata, aperta, un’opera propensa a fondersi e inoltrarsi, ha bisogno necessariamente di un altro tipo di spazio”.

Carla Lonzi quarant’anni fa aveva individuato molto chiaramente la frattura fondamentale che riguarda il modo in cui l’opera d’arte assoggetta il pubblico e il suo sguardo nel sistema artistico: il suo femminismo non è dunque un movimento successivo all’abbandono della critica d’arte, ma è il momento dell’elaborazione di uno sguardo nuovo, e di una nuova idea dell’arte che coincide con quello sguardo, di un’esigenza e di una richiesta che riguardano un’opera capace di costruire un rapporto paritario, di essere quel rapporto.
È per questo che Lonzi chiede ostinatamente e senza successo, prima a Carla Accardi e poi a Consagra, di far coincidere la comprensione di queste istanze e la pratica artistica; ma si rende conto, lungo l’arco dell’intero decennio, che l’arte risponde a istanze diverse, e che il suo funzionamento sociale tradizionale è troppo rigido, troppo ferreo per essere scalfito dal pensiero inedito che si affaccia. Esso inoltre coincide con privilegi consolidati, a cui l’artista stesso (uomo o donna, femminista o no) difficilmente è disposto a rinunciare: “Allora tutto questo capire che dici te, che poi per me è capire la vita mia, tua e il rapporto fra noi due, per te tutto questo capire rimane appunto un bagaglio intellettuale, che siamo due intellettuali, cosa che a me non piace neppure sentirla dire. Perché per me è un’esigenza di vita per andare avanti e non un capire scisso dalle soluzioni che trovo” (ivi, p. 8).

CAPIRE E AGIRE

In questa dissociazione tra ‘capire’ e ‘agire’, tra ‘bagaglio intellettuale’ ed ‘esigenza di vita’ sta il conflitto insanabile che Carla Lonzi riconosce non solo nel proprio legame con Consagra, ma proprio tra due visioni dell’arte e della sua funzione. Una tiene ancorati l’autore e gli spettatori ai rispettivi ruoli, intrappolandone le prospettive; l’altra, invece, richiede sforzo e disponibilità perché tende a parificare, ad aprire, a eliminare ogni traccia di subordinazione e alla liberazione sperimentale di quelle prospettive, non solo in senso artistico ma anche e soprattutto esistenziale: “per andare avanti”, attraverso “le soluzioni che trovo”.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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